Storie di stadio: nascita e morte del Littoriale di Bologna
Quello che andrà in scena quest’anno, per i tifosi del Bologna Football Club, sarà un lungo arrivederci allo Stadio Renato Dall’Ara, emergenza sanitaria permettendo. I più informati sanno bene che la casa dei colori rossoblù è uno dei più antichi simboli dei vecchi fasti del regime fascista, di cui ancora oggi permane l’imponente Torre di Maratona. I lavori di costruzione iniziarono infatti nel giugno del 1925: la propaganda fascista si alimentava anche attraverso la costruzione di magnificenti edifici che ne dimostrassero l’imponenza. Bologna, come ogni grande centro, necessitava di un simbolo che rappresentasse la virtù sportiva dei suoi abitanti, e per tale motivo venne predisposta la costruzione dello Stadio Littoriale, nella città in cui operava uno degli uomini più fidati di Benito Mussolini, Leandro Arpinati, podestà di Bologna nonché presidente della Federazione Italiana Giuoco Calcio. Un doppio ruolo che assicurava prestigio sia a livello politico che sportivo.
Sotto le Due Torri i tifosi avevano già assistito alla vittoria del primo scudetto, e il prestigio del club era in costante ascesa, con grande soddisfazione del Duce e dei gerarchi locali. Per questo motivo la squadra, ma più in generale lo sport bolognese (che aveva dato prova di poter competere ai massimi livelli in svariate discipline), meritava una casa all’altezza delle sue ambizioni. Fino a quel momento i rossoblù avevano disputato le loro partite nello Stadio Sterlino, in parte rinnovato dopo la Prima guerra mondiale con la costruzione di una nuova tribuna in cemento e una seconda in terra battuta per i ceti meno abbienti, ma la ristretta capienza dell’impianto non poteva supportare grandi affluenze di pubblico e quindi eventi di primo piano. I lavori, disposti fuori Porta Saragozza, ai piedi del Santuario della Beata Vergine di San Luca, proseguirono a ritmo serrato per un anno e mezzo dalla deposizione della prima pietra, e venne il Duce in persona a celebrare il trionfo della tecnica e dell’architettura fascista, entrando a cavallo all’interno del neonato impianto che lo avrebbe glorificato erigendo sulla cima della Torre di Maratona proprio la sua effigie a cavallo (al cui proposito vi racconterò a breve un particolare per molti inedito).
Fu quella l’occasione per celebrare inoltre, con una parata pubblica tra le strade del centro storico, il quarto anniversario della Marcia su Roma, e quindi dell’inizio del regime. Era il 31 ottobre 1926, e quella data rimane scolpita nei libri di storia per due avvenimenti indissolubilmente legati: il primo, che non fece che accrescere l’aura mitica intorno alla figura del Duce, fu il fallito attentato nei suoi confronti, il secondo il linciaggio da parte della folla di un giovane ritenuto responsabile del crimine. Mentre la macchina di Mussolini passava lungo via dell’Indipendenza, furono esplosi dei colpi di pistola, uno dei quali lo sfiorò bucando il bavero della sua giacca. La colpa ricadde sul quindicenne Anteo Zamboni, che subì seduta stante la pena capitale. A questo avvenimento (non solo come nota di colore, ma anche per indicare una responsabilità oggettiva dell’interessato) va aggiunto che il capo della sicurezza quel giorno era Carlo Alberto Pasolini, padre dell’allora quattrenne Pier Paolo, che qualche decennio più tardi diverrà uno dei principali intellettuali del Paese.
Quell’evento nulla cambiò nei piani del regime, ma ne sottolineò invece l’indistruttibilità. Qualche mese più tardi lo stadio ospitò il primo grande evento internazionale, naturalmente col tutto esaurito. A Bologna il 29 maggio 1927 si giocò l’amichevole di calcio tra Italia e Spagna, alla presenza di oltre 55 mila spettatori. Fu il prologo di un film che avrebbe mostrato tantissime scene indimenticabili, quali la vittoria di altri sei scudetti e un ruolo da protagonista ai Mondiali del 1934 (e, molto più tardi, alcune partite dei Mondiali del 1990), che l’Italia vinse con due giocatori rossoblù tra le sue fila, ovvero Eraldo Monzeglio e Angelo Schiavio.
Con la caduta del fascismo il Littoriale fu ribattezzato, prima di arrivare negli anni Ottanta al nome attuale, Stadio Comunale, e venne deposto (non potendo certo abbattere la torre) il suo simbolo: la statua bronzea del Duce, poi fusa per realizzare il monumento ai partigiani caduti nella battaglia di Porta Lame del 7 novembre 1944. Ad onor del vero, a tal riguardo va detto che una parte del monumento, vale a dire la sua testa, venne messa in salvo per essere conservata da qualche irriducibile bolognese, che si assicurò di farla arrivare nelle mani giuste. Ancora oggi la testa di Mussolini è conservata nello studio (e vi daremo solo un indizio per evitare di incorrere in qualche disdicevole polemica, se non peggio) di chi mette sempre la sicurezza al primo posto.
Giuseppe Mugnano
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Foto copertina: Dal Littoriale allo Stadio, Consorzio Cooperative Costruzioni