Il retroscena: quando il Bologna incontrò De Zerbi (prima di scegliere Inzaghi)
Il futuro di Mihajlovic non è mai stato deciso dai contratti. Pertanto, quello che attualmente lo lega al Bologna fino al 30 giugno 2023 è semplicemente un promemoria, la firma su una possibilità. In aggiunta, nell’imminenza di un cambio di direzione sportiva non si può mai sapere cosa succederà ad un allenatore. Quando arrivò Corvino, la prima ‘vittima’ fu Diego Lopez. Quando s’insediò Bigon, Donadoni resistette altri due anni. Qualora Sinisa dovesse fare un passo indietro, c’è un solo nome che il BFC non può farsi sfuggire, ed è quello di Roberto De Zerbi. Il quale, peraltro, era già stato ad un passo da Casteldebole. Come sarebbe stato un Bologna guidato da lui? La domanda non è fantascientifica, perché nell’estate 2018 se la posero proprio i dirigenti felsinei, gli stessi che dopo serrati colloqui con l’ex fantasista, da molti indicato come l’erede del calcio offensivo di Zdenek Zeman, scelsero una carta all’apparenza più sicura, quella di Filippo Inzaghi.
In realtà, quando accettò l’invito a cena di Fenucci e Bigon (nell’orizzonte rossoblù Walter Sabatini doveva ancora apparire), De Zerbi era già vicinissimo al Sassuolo. L’incontro si celebrò comunque, forse per mantenere buoni rapporti in vista di futuri riavvicinamenti. O almeno per questione di semplice cortesia. Si disquisì a lungo delle esigenze di rinnovamento di un BFC reduce da tre anni grigi, vissuti appena sopra la linea di galleggiamento. De Zerbi seduceva per il suo piglio offensivo: pur retrocedendo con largo anticipo, il Benevento da lui ereditato in corsa aveva dato l’impressione di conservare intatte motivazioni e voglia di stupire fino all’ultima giornata. Quello che manca oggi al Bologna.
Ma un po’ a sorpresa, o forse proprio perché il Sassuolo era già parecchio avanti con la trattativa, De Zerbi si presentò all’appuntamento con idee molto precise sui rinforzi. Precise ed eccessive, secondo il punto di vista dei suoi interlocutori, che al tavolo decisivo si lasciarono poi convincere dall’appeal più nazionalpopolare di Inzaghi, l’uomo attorno al quale fu costruito lo slogan Fire and Desire. Anche per questo il terzo candidato alla panchina, Leonardo Semplici, all’epoca in sella alla Spal, non aveva carte sufficienti per superare l’allure internazionale del campione del mondo. Un’altra considerazione, infine, spazzò via gli ultimi dubbi: col suo calcio d’attacco, De Zerbi rappresentava un cambio di passo troppo repentino rispetto all’indole difensivista sedimentata nei tre anni targati Donadoni; sotto tale aspetto, Pippo offriva più garanzie rispetto all’altro candidato.
A Sassuolo l’impatto di De Zerbi, che ereditava la panchina di Beppe Iachini, fu dirompente: subito una vittoria contro l’Inter, poi altri tre successi nelle seguenti cinque partite. Alla settima giornata la squadra che rappresentava (e rappresenta tuttora) la città con meno abitanti della Serie A si presentò dall’alto del terzo posto, inseguendo per un po’ di settimane Juventus e Napoli. Dopo Sassuolo, De Zerbi è volato nel Donbass, dove ha fatto in tempo a vincere una Supercoppa d’Ucraina battendo 3-0 la Dinamo Kiev. Poi è arrivata la guerra. Una nuova pagina ora è tutta da scrivere. Sarà proprio con lui, stavolta? L’idea, senza offendere Sinisa al quale auguriamo di rimanere con successo e a lungo, seduce abbastanza.
Luca Baccolini
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