Di Vaio, da bomber a direttore sportivo in otto anni. Maglia o giacca, sul suo cuore c’è sempre lo stemma del Bologna
«In questi anni si è detto tanto riguardo alla mia posizione all’interno del club». Marco Di Vaio, nel giorno della sua nomina ufficiale a direttore sportivo, ha dato sfoggio del suo stile mai polemico ma sempre molto diretto per commentare le critiche e le illazioni nei suoi confronti che si sono susseguite da quando è rientrato a Casteldebole come dirigente.
Ad un po’ di scetticismo l’ex centravanti è stato abituato fin dal suo arrivo sotto le Due Torri, ormai quattordici anni fa. Nell’agosto 2008, infatti, si parla di giocatore in parabola discendente venuto a svernare in una piazza senza grosse pretese. Ma la storia, come spesso accade, è ben diversa: 66 reti in 148 presenze, fascia da capitano indossata con pieno merito e profondo rispetto, e un ricordo indelebile lasciato in una città che ancora oggi lo ricorda come l’ultimo vero bomber passato da queste parti.
Il suo addio, nel maggio 2012, priva il Bologna di un grandissimo attaccante ma spalanca alla società le porte di un nuovo ciclo. Marco va a giocare per i Montreal Impact, squadra canadese gestita da Joey Saputo, a cui racconta della realtà storicamente prestigiosa ma attualmente in cattive acque del suo amato BFC. Il duo Saputo-Tacopina acquista il Bologna nell’autunno 2014 e centra, non senza affanni, la promozione nella massima serie dopo un solo anno di cadetteria. E così Di Vaio ottiene il primo successo della sua carriera extra campo, lui che nel gennaio 2015 era stato nominato club manager.
Sotto la supervisione di Pantaleo Corvino, l’ex numero 9 si fa le ossa nella nuova veste da dirigente e studia già da direttore sportivo, conseguendo il patentino nel dicembre 2015. Senza forzare i tempi, continua a ricoprire la funzione di club manager per quattro anni e mezzo, venendo poi nominato responsabile dell’area scouting nel luglio 2019: per lui inizia una nuova vita con la valigia in mano alla ricerca di giovani talenti, prima che il COVID releghi l’osservazione dei giocatori al freddo schermo di un computer. Marco lavora prima col solo Riccardo Bigon e poi anche con Walter Sabatini, e a supporto dei due uomini mercato consolida la sua credibilità anche ‘in giacca e cravatta’.
La recente promozione a direttore sportivo è per Di Vaio la concretizzazione di un percorso intrapreso in tempi non sospetti e proseguito con tenacia. Di certo è consapevole sia delle cose positive fatte che degli errori commessi dalla società negli ultimi sette anni, e di quanto la pazienza dei tifosi sia stata messa a dura prova in questo lungo periodo di consolidamento, ma è proprio la sua ambizione che dovrebbe rassicurare la piazza: se c’è qualcuno ormai visceralmente legato ai colori rossoblù e desideroso di riportare il Bologna dove merita di stare, quello è proprio lui.
Marco sa benissimo di giocarsi tanto a livello professionale e che l’opportunità di lavorare insieme ad un asso come Giovanni Sartori potrà farlo crescere ancora. E chissà, magari col tempo attirare su di sé l’attenzione di altri club. Non è però da escludere che, nel doveroso rispetto dei tempi e degli attuali ruoli, Di Vaio non covi il ‘pensiero stupendo’ di legarsi ancora di più al BFC, divenendone un giorno il responsabile dell’area tecnica.
Ad oggi quel che è sicuro è che un bolognese d’adozione è appena stato nominato d.s. della squadra di cui è diventato tifoso e si è innamorato. E noi di Zerocinquantuno, testata giornalistica a lui dedicata fin dal 2013 per volontà dei proprietari Giorgia Mattioli (sempre nei nostri cuori) e Mario Sacchi, ne siamo particolarmente felici. In attesa di vederlo all’opera, non ci resta che fargli un enorme in bocca al lupo per questa sua nuova avventura.
Fabio Cassanelli
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Foto: Damiano Fiorentini