220 milioni di perdite? No, di investimenti. I bilanci del Bologna allarmano tutti, tranne Saputo
Duecentoventi milioni di euro: tanto ci ha rimesso Joey Saputo da quando ha rilevato il Bologna. L’ultimo bilancio, chiuso con un passivo di 46,7 milioni (il rosso peggiore tra gli otto esercizi della sua era), porta a 220,5 milioni le perdite complessive del magnate nella sua avventura italiana. Tanto, poco, troppo? Di fronte a simili grandezze la mente vacilla. Facendo una media grossolana, nel gestire il BFC Saputo ci rimette ogni anno 27,5 milioni, vale a dire 75.342 euro al giorno, 3.139 euro all’ora. Lo stipendio (lordo) mensile di un dipendente medio, insomma, equivale alla perdita oraria della società rossoblù. Ma il calcio, si sa, non è fatto per essere paragonato con la vita dei comuni mortali.
Quando Joey rilevò il Bologna da Guaraldi e soci, pagò una buonuscita collettiva vicina ai 6 milioni di euro, prezzo di saldo giustificato da un’esposizione debitoria che, all’epoca, si attestava sulla base di alcune decine di milioni. Di fatto, il club acquistato tra il 2014 e il 2015 era una scatola vuota, con qualche buco sul fondo e senza alcuna certezza di potersi guadagnare la Serie A. Oggi la situazione è decisamente cambiata: con un centro tecnico di proprietà e interamente ristrutturato, una permanenza in A virtualmente assicurata, un ritrovato bacino di pubblico e il volano dei diritti televisivi (senza contare la possibilità di giocare, in futuro, in uno Dall’Ara nuovo), il BFC possiede un valore vertiginosamente aumentato. Di quanto? È difficile dirlo. La cessione di una società non fotografa quasi mai il suo valore reale, quanto piuttosto il suo stato debitorio. Chi dovesse acquistarlo oggi lo rileverebbe sano, senza debiti, caso raro in Italia e più in generale in Europa. A questo punto il ‘vero’ valore del Bologna dipenderebbe da ciò che sta più in alto di lui, ovvero il sistema Serie A.
Negli ultimi anni un numero sempre crescente di società nordamericane ha deciso di entrare nel nostro Paese attraverso le porte del calcio. Solo in Emilia-Romagna si contano appunto il Bologna, il Cesena, il Parma e la Spal, una galassia in continua espansione che ci autorizza a pensare come il pallone nostrano, al di là delle perdite che sbandiera con toni sempre piuttosto vittimistici, non sia poi il peggiore degli investimenti possibili. Perché Saputo continua a registrare con disinvoltura segni ‘meno’ che in altri contesti porterebbero direttamente al fallimento? La risposta non può che annidarsi nel lungo periodo. Quelle dell’italo-canadese sono perdite dolorose ma calcolate, e rientrano nel famoso «primo decennio» di inserimento nella nuova realtà (non scordiamoci che il CF Montréal è saldamente nelle mani dei Saputo da trent’anni). La domanda, semmai, è un’altra: con 220 milioni di perdite in otto anni, era lecito immaginarsi risultati migliori di un decimo posto e di 47 punti? La risposta è, ovviamente, sì.
L’era Guaraldi fu vissuta in perenne crisi di liquidità ma fece approdare il Bologna ad un’ottima nona posizione (51 punti). Paragone suggestivo, che però non tiene conto del fatto che solo due stagioni dopo quei 51 punti diventarono 29 e ci trascinarono in B, con la concreta possibilità di rotolare ancora più in basso. Il coraggio di Guaraldi e Zanzi nel tentare di sopravvivere in un mare in tempesta va senz’altro riconosciuta anche a distanza di anni, ma quella tempesta esisteva proprio perché la barca non era attrezzata per solcare l’oceano. Oggi viviamo su un transatlantico che non permette quasi di percepire se di là dall’oblò ci sia bonaccia o tempesta. L’unica cosa, però, è sperare che il comandante non si stanchi di navigare imbarcando acqua.
Luca Baccolini
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