La saga di Żvanéṅ Ciavadåor - Il vendicatore (4^ parte: La vendetta)

La saga di Żvanéṅ Ciavadåor – Il vendicatore (4^ parte: La vendetta)

Tempo di Lettura: 5 minuti

Come Leonida alle Termopili non si aspettava che i persiani attaccassero dal sentiero di Anopea, allo stesso modo Lucrezia non si aspettava quell’approccio. Non c’erano dubbi che nessuno dei suoi maschietti frettolosi si fosse fino ad allora mai azzardato a tanto, si fosse mai degnato di mettere la bocca in quel nido impuro. Un brivido sconosciuto dovette attraversarle tutto il corpo fin nel cervello pur vigile e pronto a reagire.

«Cosa vuoi fare?», chiese allarmata.

Lui non si curò certo di rispondere, sapeva bene che le ragazze ti chiedevano «dove vuoi arrivare?» quando eri già arrivato. Giovannino cominciò a lambire tutto attorno con le labbra l’intimità di Lucrezia. Lento, leggero e continuo… lento, leggero e continuo…
Lucrezia, che forse mai si era inoltrata a scoprire da sola il mistero dei sensi, entrò gradualmente in un paradiso languido, crescente, inarrestabile.
Giovanni continuava imperterrito: morbido, leggero, continuativo… morbido, leggero, continuativo…
Lucrezia era arrivata ad un punto di non ritorno, una sensazione tanto forte da diventare insostenibile ma irrinunciabile. Giovanni aveva postato sull’identità più sensibile di lei il frenulo morbido della lingua.
Allegretto, lieve, continuativo… allegretto, lieve, continuativo… instancabile, implacabile, inesorabile.
Lucrezia entrò nella sofferenza, la sofferenza di un’attesa così acuta da attanagliare ogni ganglio del corpo e montando un’aspettativa così sovrumana da invocare a liberazione il delitto e la morte. Intanto i minuti trascorrevano, l’attesa era insopportabile.
Giovanni sempre allegretto, lieve, continuativo… allegretto, lieve, continuativo…
Lucrezia al culmine della sopportazione gli appoggiò le mani sul capo stringendolo, forse non capiva se per fermarlo o per impedirgli di fermarsi. Poi inconsciamente serrò le cosce così fortemente da respingere la testa di lui. Portò entrambe le mani all’inguine affondando le unghie nella carne… spalancò in alto le labbra. Per qualche frazione di secondo perse conoscenza. Quando si riprese udì la sua propria voce che terminava l’urlo… un urlo dal suono sconosciuto, ancestrale, che non assomigliava a nessun altro urlo. Un urlo di gioia e di furore insieme, come se gl’infiniti costrittori di tutti i corporali anfratti fossero finalmente esplosi. Poi Lucrezia si riprese tremando e ansimando e con lo sguardo placato guardò Giovannino che, partecipe della sua beatitudine, le sorrideva.

«Che cosa mi è successo?».

«Hai provato la gioia…».

«Mi pareva di morire… cosa mi hai fatto?», continuò tra lo straniamento e la gratitudine.

«Ti ho baciata con… metodo – rispose Giovanni con una punta di civetteria – e tu hai urlato».

«Ho urlato? Io non ho urlato».

Giovanni continuò: «È il delirio della gioia», e allungò la mano per accarezzale il ventre.

«No, ti prego scusami, sono ancora sconvolta».

«Lo so, succede… dopo».

Lei gli prese la mano per rizzarsi a sedere accanto a lui. «Tu sai tutto, chi ti ha insegnato?».

«Un vecchio maestro, un brutto sporcaccione».

«Un gran bel porco – corresse lei –. Tu lo fai sempre?».

«Solo con le bonone come te», rispose Giovanni come a ricambiare le battute sui ‘magroni’.

«Voglio che d’ora in poi tu lo faccia solo con me. Io sarò la tua porcellina».

Giovanni percepì un allarme. La voce e il tono di Lucrezia erano cambiati, come fossero espressione del suo appena nato sentimento. E la sua nudità, fino a mezzora prima esibita per impertinenza, ora era mostrata con la spontaneità di chi vive una storia abituale. Giovanni sentì la mano di lei che stringeva la sua come fosse una normalità quotidiana. Lei allungò l’altra mano per sbottonargli la camicia e per carezzargli il petto. La paura di Giovanni aumentò.

«Una vera signora non fa la porcella».

«Imparerò».

«Qui finisce davvero male – pensò Giovannino –, se non scappo subito mi trovo incastrato».

La trasformazione della ragazza era sconcertante. Tanto era stata perfida e sbeffeggiante prima, tanto era carezzevole ora. Ma egli non era alla ricerca di un legame e non era nemmeno affamato: bariste, parrucchiere, professoresse lo aspettavano, ed aveva tutta un’esistenza da vivere. Tanto la ragazza aveva preso a piacergli, tanta era la necessità di non cedere.

«Devo trovare il modo di sganciarmi».

Così, mentre lei non mollava la mano lui, Giovanni finse di controllarsi l’orologio.

«Oddio! Ho dimenticato un impegno importante!», e fece l’atto di avviarsi verso la porta.

«Perché non torni stanotte a dormire con me?».

«Di male in peggio», pensò Giovannino.

Tentò allora un modo estremo di troncare e senza riflettere le rivelò la ragione che lo aveva portato al suo appartamento, le disse della trama ordita con Lombardi e Manfrina in agenzia.

«Mi ha mandato lui per punirti, non posso stare con te, è stato un gioco».

Giovanni fu subitamente investito dal rimbalzo del disastro. Repentina fu la nuova inversione dell’umore di Lucrezia, che si fece buia in faccia e si buttò addosso un asciugamano.

«Dunque tu saresti il vendicatore di Lombardi – mugolò –, che figli di puttana!».

Lucrezia si dimenò più e più volte cambiando posizione sul tappeto. In pochi minuti più e più volte cambiò volto e anima. Aveva pianto di consolazione. Adesso pianse di rabbia. Poi, dopo un lungo silenzio, cominciò a parlare come con sé stessa.

«Ti svegli da un sonno esaltante, vedi un angelo custode che ti sta sorridendo… E lui pensava a beffarti…».

«Ora mi vedi come un demonio?».

«Non lo so, sono confusa. Non so se devo amarti o detestarti».

Giovanni tentò di rimediare, ma lei lo fermò.

«Lasciami finire, quando mi hai ‘baciata’, come tu dici, cosa pensavi nella tua mente? Guarda come gode la troia?».

«Ma no…».

«Com’è cattiva la vita, prima ti fa conoscere la gioia e poi ti richiama all’ordine. Adesso che torni dai tuoi compari cosa gli dirai ridendo? Ho domato la cavalla senza montarla? E bravo!».

«Gli dirò quello che vuoi tu».

«Debbo pure ringraziarti – sibilò ad un certo punto –, dopotutto mi hai fatto conoscere il mio corpo».

«Allora ci vediamo domani», mentì Giovanni per farla finita.

«Tu non tornerai, ma anch’io potrei vendicarmi di voi»

Giovanni guadagnò l’uscita, lei era ancora nuda e non poteva seguirlo.

La sentì gridare: «Il tuo numero telefono!», ma lui era già in strada.

Una volta all’aperto, ancora sottosopra per lo sconvolgimento suscitato e subìto, fu come sopraffatto dallo strepitare del traffico serale. Rombavano le auto e scoppiettavano i ciclomotori sovrapponendosi gli uni agli altri nelle ripartenze ai semafori. Gli parve di odorare nell’aria quel sentore di nafta e benzina che portarono i primi trattori nella campagna.

«Che vendetta di merda – intanto pensava –, l’ho fatta solo godere».

Aprì lo sportello della Giulia GT, il segno del suo successo e della conquistata libertà. Un malessere gli saliva dai lombi fin nel cervello.

Adesso cosa potrà combinare quella pazza?», pensava.

Sostò a lungo nell’abitacolo prima di avviare, come sentendosi protetto dalle pareti di una tana. Pensò a Guståṅ e alla banda di ragazzi del suo paese. Quando arrivò in ufficio lo aspettavano Lombardi e Josef Manfrina, tutti e due erano smaniosi di sapere.
Il resoconto fu stringato e preciso.

«Ma lei cercava il membro?», chiedeva in continuazione il dottor Manfrina per capire meglio.

La vicenda sarebbe stata oggetto di analisi e interrogativi che si protrassero per infinite sedute. Però in quel primo momento la preoccupazione era un’altra. Giovanni era mortificato per come aveva lasciato la ragazza, e non sapeva che fare. Egli aveva anche una fidanzata fissa e promessa sposa: significava pasti caldi preparati con amore e camicie stirate con cura, nonché stabilità familiare nel tenace fondamento del suo zoccolo contadino. Quanto a Lombardi bisogna sapere che, a dispetto della figura poco attraente, la frequentazione di personaggi in vista e la pur pedante eloquenza gli avevano guadagnato la mano di una delle più belle ragazze del suo corso. Fosse mai che questa storia potesse imbrogliare le loro vite? Per Josef Manfrina invece, il problema era capire:

«Ma lei cercava il membro?». Era il suo rovello.

Per diversi giorni Giovanni e il dottor Lombardi temettero ritorsioni, come irruzioni in casa, telefonate minatorie o lettere anonime. Ma fortunatamente per loro non accadde nulla. Solo Josef Manfrina continuava ad iterare il suo mantra:

«Ma lei cercava il membro?».

Così l’episodio fu, per così dire, derubricato ad aneddoto, buono a raccontarsi al tepore delle stalle e nel clamore delle osterie. Se le stalle e le osterie fossero esistite ancora.

Bombo

© Riproduzione Riservata

Foto: it.wikipedia.org