Rossi: “Bologna esperienza breve ma intensa, Saputo a differenza di tanti non vende fumo. Motta mi sta stupendo, i giocatori però non sono tutti uguali”
La sua esperienza in rossoblù è durata appena un semestre, ma tanto è bastato per renderlo protagonista di un evento cruciale nella storia recente del Bologna, ovvero l’immediato ritorno in Serie A giunto il 9 giugno 2015 al termine della doppia finale playoff di B contro il Pescara. Sarebbe però riduttivo fermarsi a ciò per descrivere Delio Rossi, allenatore con una carriera fatta di quasi 400 panchine nel massimo campionato, un trionfo in Coppa Italia (nel 2009 alla guida della Lazio), 3 promozioni in A e una dalla C1 alla B. Sono numerose le avventure affrontate dal tecnico romagnolo nella sua trentennale esperienza in panchina, quasi tutte contraddistinte da bel gioco, risultati e diversi giovani lanciati. Quest’oggi, alla vigilia di Salernitana-Bologna, partita che osserverà nelle vesti di doppio ex (a Salerno era stato soprannominato ‘il Profeta’), abbiamo avuto la possibilità di chiacchierare con lui di passato, presente ed immediato futuro. Ecco cosa ci ha raccontato…
Rossi, nel 2015 lei ha messo una firma importante sull’ultima promozione in Serie A del Bologna… «Il periodo bolognese, di cui conservo un ottimo ricordo, fu breve ma intenso. Venni ingaggiato dopo che la promozione diretta era sostanzialmente sfumata, dunque per preparare i playoff, cosa che cercai di fare nel migliore dei modi. Non un compito semplice perché l’ambiente era molto depresso, del resto da un club come il Bologna ci si aspetta che vinca la Serie B di corsa, ma seppur con sofferenza centrammo l’obiettivo. Non dimenticherò mai quell’atmosfera e quella festa finale, al pari dei tifosi rossoblù che mi hanno voluto e mi continuano a voler bene».
Al di là delle sconfitte, spesso immeritate, cosa non funzionò in quell’inizio di stagione nel massimo campionato? «Pagai la mia onestà in prima persona: la società mi chiese quali elementi mantenere per l’immediato futuro e quali invece cambiare per poter raggiungere nel giro di qualche anno traguardi importanti: risposi che quel gruppo, arrivato quarto in Serie B, doveva essere rinforzato con numerosi innesti. Non era facile, anche perché salimmo in A a giugno inoltrato e iniziammo il ritiro con cinque-sei ragazzi della Primavera aggregati e una rosa ancora incompleta, con alcuni giocatori che inizialmente non rientravano più nei piani. Svolgemmo comunque un buon lavoro e quantomeno le prestazioni lo testimoniarono: al momento dell’esonero lasciai dicendo che la squadra era stata allenata bene e che sarebbe venuta fuori alla distanza, cosa poi successa vista la salvezza raggiunta in modo sereno con Donadoni».
Lei ha vissuto l’era Saputo agli albori: quale giudizio complessivo si sente di dare sul suo operato dopo otto anni? «Non ci furono molte occasioni per conoscersi meglio, in quel periodo avevo più a che fare con Fenucci, Di Vaio e l’allora d.s. Corvino. Non è facile per un presidente che viene dall’altra parte del mondo, però Saputo mi è sempre sembrato una persona seria che non vende fumo, a differenza di molti altri nel calcio italiano. Ha investito tanto sulle strutture e patrimonializzato la società, poi è chiaro che ad un certo punto ci si ritrova a dover competere con club che dal punto di vista economico sono fuori portata. Il Bologna deve continuare a lavorare su una squadra futuribile, provando di tanto in tanto ad inserirsi in corsa per l’Europa o quantomeno la Conference League. L’importante è essere chiari rispetto alle proprie possibilità e ai propri programmi, ed è quello che la società sta facendo».
Lei è un allenatore ‘giochista’ che ha sempre cercato di plasmare le sue squadre, quindi immaginiamo apprezzi Motta… «Intanto va detto che è sempre difficile subentrare a stagione in corso, specialmente poi ad uno del calibro di Mihajlovic, per la sua storia umana e calcistica e per il rapporto speciale che aveva creato con Bologna e il Bologna. Non è facile nemmeno entrare nella testa dei calciatori: ciò che più mi ha sorpreso è come Motta ci sia riuscito in pochissimo tempo, dando un’identità precisa ad una squadra che, grazie alla sua gestione, crede pienamente in ciò che sta facendo. Forse l’unica nota un po’ meno lieta, almeno all’apparenza, è il fatto di non aver ancora trovato la chiave di volta per coinvolgere a pieno i giocatori più importanti a livello di nome e carriera».
Tutti i giocatori hanno gli stessi identici doveri o è solo un’illusione? Esiste un margine per cui un campione è gestibile diversamente? «Dipende dal singolo: una squadra come il Bologna può permettersi due-tre eccellenze, vedi Arnautovic, e se mi privo di alcune di esse non sto facendo benissimo il mio lavoro fino in fondo. I giocatori sono tutti uguali relativamente ad alcuni principi dettati dall’allenatore, ma per il resto non sono uguali, molte volte bisogna fare un passettino indietro verso qualcuno di loro: se appunto ho un’eccellenza devo trovare il modo migliore per entrare nella sua testa e far sì che possa fornire un apporto decisivo alla squadra».
C’è qualche singolo rossoblù che l’ha colpita e che apprezza praticamente rispetto ad altri? «Mi ha colpito Lucumí per l’impatto che ha avuto su un campionato complesso come la nostra Serie A e le buone qualità messe in mostra. Poi, seppur sia migliorato parecchio, mi aspetto un rendimento ancor più costante da parte di Orsolini: è un ragazzo che ha tecnica, fisicità e spunti notevoli, un mix che può fare la differenza in un calcio che va sempre più nella direzione dei duelli uomo contro uomo».
Cosa ci dice della Salernitana, altra sua ex squadra e avversaria del BFC domani? La classifica non sembra rispecchiare il reale valore della rosa… «L’annata decisiva per la Salernitana è stata la scorsa: per una neopromossa la stagione più complessa è proprio quella del salto di categoria e nel salvarsi i granata hanno compiuto un doppio miracolo, avendo anche cambiato proprietà a metà stagione. Questo per loro è un campionato di assestamento, dopo il rocambolesco finale dell’anno passato. Riguardo alla classifica, i bilanci si tracciano ovviamente al termine, ma è chiaro che se dovesse persistere questo scenario sarebbe comprensibile un po’ di delusione».
Le manca la panchina? Quando la rivedremo alla guida di una squadra? «Più che la panchina mi manca il lavoro settimanale: tra cose fatte più o meno bene, allenare è ciò che amo di più e che ha caratterizzato la maggior parte della mia vita, non posso riciclarmi in altro. Spero di ritrovare presto la quotidianità del campo, sono sicuro che prima o poi capiterà una nuova opportunità».
Riccardo Rimondi
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