Quello che siamo diventati
Lo scorso 24 settembre mi sono recato con alcuni amici a Forlì al concerto di Motta (Francesco, il cantautore). Il Bologna aveva da poco cambiato allenatore, cominciando il nuovo corso con un deprimente 0-1 casalingo contro l’Empoli, in quel weekend il campionato era fermo per gli impegni delle Nazionali e al termine dello show, soddisfatto, ricordo di aver esclamato: «Meglio aver visto all’opera questo Motta, almeno non sono rimasto deluso». Malgrado il mai celato affetto per Sinisa Mihajlovic, mi ero reso conto che non si poteva più andare avanti così, e dopo l’avvicendamento in panchina riponevo grande fiducia nel nuovo corso rossoblù. Quell’esordio, peraltro successivo alla vittoria sulla Fiorentina ottenuta con Luca Vigiani in panchina, mi aveva davvero tagliato le gambe. Non avrebbero aiutato, in seguito, le grigie prestazioni offerte contro Juventus e Sampdoria.
Oggi, a distanza di quasi sette mesi, osservo con un sorriso lo scenario che si è via via materializzato e mi accorgo di quello che siamo diventati. Già, Quello che siamo diventati, il titolo di una bellissima canzone di Motta. E forse è proprio una questione di musica, al di là dei freddi numeri delle gestione Thiago, che comunque hanno del clamoroso: 37 punti in 23 partite di campionato (media di 1,6 a gara), 31 gol fatti, 7 clean sheet, ottavo posto a -1 dal settimo dell’incognita Juventus e a -5 dal sesto dell’Atalanta che vorrebbe dire Europa diretta. E si potrebbe continuare. Ma è la musica, appunto, a fare la differenza, perché adesso il Bologna è un’orchestra diretta magistralmente dove ogni strumento contribuisce alla creazione di una meravigliosa sinfonia. Non è retorica, non sono frasi fatte, è quello che provo ogni volta che guardo la squadra in azione, e penso di essere in buona compagnia.
Tranquilli, l’esaltazione attuale non mi porterà a parlare di ‘calcio totale’ e ad azzardare folli paragoni, ma è innegabile come sotto la guida dell’ex Spezia si stia andando persino oltre il concetto stesso di formazione, a livello sia di modulo che di interpreti: tutti sanno fare praticamente tutto, i compiti vengono prima dei ruoli, e se qualcuno è infortunato o squalificato non c’è da strapparsi i capelli, visto l’ottimo rendimento dei sostituti (ammesso abbia ancora senso chiamarli così). E poi c’è il contorno, ciò che fa da cornice al campo. Un entusiasmo che va oltre le mura amiche dello stadio Dall’Ara, sempre più pieno, e arriva fino a Udine, Firenze, Genova, Bergamo. Quei brividi positivi che non si avvertivano dalla cavalcata salvezza di Sinisa, quando ci siamo varie volte spellati le mani a forza di applaudire. E la nota più dolce, la vittoria più bella: tanti, tantissimi bambini con indosso i nostri colori.
È arrivata l’ora di restare, si conclude con questa frase il brano di Motta (Francesco, che adesso è in studio e sta lavorando al suo quarto album). E non potrebbe esserci frase migliore per rivolgersi, idealmente, a tutto l’ambiente Bologna, da poco entrato nel nono anno di presidenza Saputo. Dopo un periodo di rinascita e consolidamento che forse è durato troppo, la squadra e più in generale il club si stanno prendendo con pieno merito un posto a ridosso delle cosiddette ‘grandi’, e quel posto dovrà diventare la nuova base da cui ripartire per scalare ulteriormente le gerarchie, senza accontentarsi mai. Perché anche grazie a Motta (Thiago) la ruota sembra aver girato e allora, che sia Europa o meno al termine della stagione in corso, bisogna restare lì, con una voglia matta di vivere il presente e una ritrovata fiducia nel futuro. Ma, soprattutto, col cuore pieno d’orgoglio per quello che siamo diventati.
Simone Minghinelli
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Foto: bolognafc.it