Maini: “Non dimentico la violenza del Marsiglia, auguro al Bologna di tornare in Europa e vivere serate felici. Con Motta e Sartori è possibile”
In maglia rossoblù appena 23 presenze complessive, ma dentro la stagione più esaltante degli ultimi trent’anni (come minimo) tra campionato, Coppa UEFA e Coppa Italia. Una stagione purtroppo terminata nel modo peggiore, sia per lui che per un Bologna a dir poco commovente. Forse da queste parti il suo nome riporterà alla mente solo l’indecorosa rissa scatenata dai giocatori del Marsiglia il 20 aprile 1999, ma la carriera da calciatore di Giampiero Maini, centrocampista di gamba e qualità classe 1971, è stata molto di più, basta passare in rassegna il suo palmarès per rendersene conto. Da qualche anno ‘Jimmy’ fa l’allenatore, col sogno concreto di allenare una Prima Squadra dopo una gavetta importante a livello giovanile, e anche lui guarda con attenzione all’ottimo lavoro che Thiago Motta sta svolgendo sotto le Due Torri: oggi l’abbiamo intervistato per parlare di tutte queste cose e ne è uscita una piacevole chiacchierata tra passato, presente e futuro.
Jimmy, è un piacere ritrovarti: per chi ti avesse perso un po’ di vista, raccontaci quello che hai fatto dopo aver appeso gli scarpini al chiodo… «Ho sempre allenato i giovani: sono partito da una mia scuola calcio affiliata al Milan qui a Roma, poi sono passato proprio alla Roma e per due anni ho guidato i 2002 come Bove e Zalewski, tanto per fare due nomi noti, quindi ho lavorato per altre società più piccole sempre nella Capitale e infine mi è stata affidata la Primavera dell’Olbia. Quest’anno sono rimasto fermo, in attesa di una proposta stimolante: dopo quindici anni di settore giovanile spero di poter provare a cimentarmi coi grandi».
Dal campo alla panchina, la tua passione per il calcio è sempre rimasta viva. «Vivissima, anche se adesso mi dedico parecchio pure al padel, come tanti ex calciatori (ride, ndr)».
Una passione che ti accomuna al ‘nostro’ Marco Di Vaio, che se non erro tu conosci bene… «Certo, è un amico. Capita spesso di sentirci e qualche anno fa, quando frequentai il corso da allenatore, venni a trovarlo al centro tecnico di Casteldebole per confrontarmi anche con Donadoni. Marco è un ragazzo straordinario, una persona d’oro, oltre ad essere stato un grandissimo calciatore. Ora sta portando avanti un bel percorso dirigenziale e sono davvero contento per lui».
Wikipedia ci ricorda che tu hai vinto tre Coppe Italia con tre squadre diverse: Roma, Vicenza e Parma. Se non è record, poco ci manca. «Esatto, tre Coppe Italia, una Supercoppa Italiana, tre promozioni dalla B alla A e, malgrado la stessa Wikipedia non me lo riconosca, uno scudetto col Milan nel 1998-1999: durante quella stagione venni ceduto al Bologna, ma in precedenza seppur per poco ero sceso in campo coi rossoneri, quindi formalmente sono campione d’Italia pure io (ride, ndr)».
Hai citato il 1999 e allora bisogna per forza parlare di quel maledetto 20 aprile, una ferita ancora aperta. E di ferite, riguardo a quella serata, ne sai qualcosa… «Sul campo il Marsiglia si prese la finale senza grossi meriti, perché nella doppia sfida avevamo giocato meglio e il rigore su Maurice non c’era, e fuori fecero i prepotenti e ci aggredirono. Si erano portati delle guardie dalla Francia, che erano all’interno del Dall’Ara: qualcuno cominciò a picchiare Cappioli, io intervenni per provare a difenderlo ma da dietro arrivò Dugarry a sferrarmi un pugno sul volto, poi Camara tentò di colpirmi con un calcio in faccia di una violenza inaudita che fortunatamente riuscii a parare col braccio, sennò adesso chissà come te la raccontavo…».
La cosa pazzesca è che all’inizio la UEFA diede a te, innocente, quattro giornate di squalifica. «Fu davvero incredibile perché io le avevo solo prese, non ero nemmeno riuscito a proteggere i miei compagni. Dalle immagini televisive tutto ciò si evinceva in maniera nitida e allora andai col presidente Gazzoni a contestare la squalifica, che alla fine mi venne giustamente cancellata».
Quali altri ricordi hai di quell’annata in rossoblù con Carletto Mazzone alla guida? «A livello personale non fu una stagione esaltante perché trovai poco spazio, ma del resto la squadra andava alla grande e a centrocampo il duo formato dal povero Ingesson e Marocchi faceva cose egregie. Io arrivai ad ottobre inoltrato e ricordo che il Bologna centrò qualcosa come tredici risultati utili di fila, si viaggiava sulle ali dell’entusiasmo ed era comprensibile che il mister proseguisse così. Per il tipo di struttura muscolare che avevo, necessitavo di giocare con continuità per entrare in condizione, ma venivo impiegato solo saltuariamente e purtroppo il mio contributo alla causa non fu quello che speravo».
Il Bologna di oggi, invece, come lo vedi? «Molto ma molto bene, specie in questo 2023. Credo che da almeno due mesi sia la squadra più in forma del campionato, una squadra che via via ha trovato sempre maggiore brillantezza, autostima, fiducia e gioco, con aggressività, intensità e qualità. Il Bologna di Motta è un avversario ostico per tutti, lo testimoniano le recenti partite contro Inter, Lazio, Atalanta e Milan».
Thiago Motta è diventato in breve tempo un modello da seguire, come testimonia la presenza degli allenatori del corso Master UEFA Pro in questi giorni a Casteldebole. «Ricordo quando si ripresentò in Italia da tecnico e a Genova sghignazzavano di fronte alla sua dichiarazione sul 2-7-2 e al suo calcio, si diceva, un po’ troppo offensivo. Lui, semplicemente, aveva in mente una squadra organizzata e propositiva, si è fatto scivolare addosso le chiacchiere e ha continuato a migliorare lasciando parlare il campo, l’unico vero termometro del lavoro svolto. Il Bologna attuale testimonia la bontà dell’operato di Thiago, è un gruppo dove tutti si sentono coinvolti, sanno perfettamente quello che devono fare e si divertono a farlo, coi risultati positivi come naturale e meritata conseguenza».
Dici che prima o poi il BFC di Saputo riuscirà ad emulare quello di Gazzoni, sperabilmente con un finale diverso? «I presupposti per tornare in Europa esistono eccome: se si darà continuità a questo progetto tecnico con Motta e Sartori, sulla scia dell’entusiasmo ritrovato, inserendo tre-quattro tasselli di esperienza e qualità, penso che il Bologna possa stabilizzarsi subito alle spalle delle cosiddette big. Il calcio è cambiato tanto anche solo dagli Novanta e Duemila, quando giocavo io, ma resta bello proprio per la sua imprevedibilità, ce lo insegnano i traguardi raggiunti dall’Atalanta ma pure dal Sassuolo nelle ultime stagioni. Ripeto, è un parallelo tra epoche diverse che forse non regge, ma se il mio ‘piccolo’ Vicenza riuscì a vincere una Coppa Italia e a sfiorare la finale di Coppa delle Coppe, non vedo perché non possa riuscirci un club blasonato come il Bologna, con alle spalle un patron solido come Saputo: glielo auguro di cuore».
Simone Minghinelli
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