Un anno senza Stefano Biondi
Vola il tempo, invisibile e feroce. Già un anno è passato dalla scomparsa di Stefano Biondi, grande giornalista del Resto del Carlino, ma anche garbato e profondo opinionista per Zerocinquantuno. La sua penna si riconosceva subito: un periodare ordinato, affettuoso, screziato da una punta d’ironia che non oltrepassava mai il confine del sarcasmo e dell’acidità. Nel mondo delle favole dove ama rinchiudersi il calcio (che la tecnologia e la crisi di valori stanno progressivamente distruggendo), Stefano trovava ancora motivi per accendere la sua vis polemica, anche se per un giornalista come lui, attento a cogliere sfumature e paradossi, lo sport appiattito di oggi probabilmente non avrebbe offerto molti motivi per entusiasmarsi.
Resta nella memoria il suo stile, ma anche il gesto tecnico dello scrivere in mezzo ai colleghi: mani alte sulla tastiera del computer e dita che cadevano velocemente sui tasti, con una corsa ampia e ritmata, senza interruzioni o ripensamenti. In questo si riconosceva subito il giornalista figlio d’altri tempi: le nuove generazione tiene le mani attaccate alla tastiera, perché non ha mai conosciuto la macchina da scrivere, uno degli strumenti più musicali mai inventati dall’uomo.
In realtà Stefano si riconosceva subito per un dettaglio fondamentale: i suoi articoli erano in grado di mantenere una miracolosa distanza di sicurezza dall’oggetto raccontato. Come se il presupposto del suo scrivere fosse: «Ti sto raccontando una partita del Bologna, ma sappi che quello che è accaduto è la storia di un pezzo della nostra vita, della nostra città, del nostro mondo, e quindi anche di te». Con rispetto, ma anche con nobile sprezzatura. Con lui, insomma, non si correva mai il rischio di essere travolti dal tecnicismo, quell’esasperante febbre analitica in cui incappano i commentatori odierni, anche i più giovani, sedotti dal dettaglio insignificante, dal post su Instagram, dal labiale rubato.
Nella lunga e appagante carriera giornalistica di Biondi, cominciata nel 1979 e terminata nel 2018 con un pensionamento forse troppo precoce, non si conta una sola vittoria del Bologna, a meno di non voler considerare tale la defunta Coppa Intertoto. È un peccato che un giornalista di questa statura non abbia avuto a disposizione un solo vero successo da raccontare e da raccontarci, privilegio che invece è appartenuto alla generazione precedente, quella di Gianfranco Civolani, che allo scudetto, il settimo, c’era eccome. Chissà cosa direbbe oggi Stefano, col Bologna in lotta per l’ottava posizione e, forse, per un posto in quell’Europa che manca da oltre vent’anni.
Luca Baccolini
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Foto: bolognafc.it