Comaschi: “Dal ‘Cipressone’ al ‘Tecnico di Fastweb’ è cambiato tanto ma ho fiducia. Mi godo il Bologna di Saputo in Champions e porto a teatro quello di Maifredi”
Giornalista, attore, conduttore, scrittore, persino cantante, e da qualche tempo creatore di contenuti digitali (guai a chiamarlo digital content creator) sui suoi seguitissimi canali social. Oppure, per dirla alla sua maniera, «un cioccapiatti a cui piace fare un sacco di cose». E, aggiungiamo noi, un grande tifoso del BFC. Stiamo parlando di Giorgio Comaschi, bolognese doc che il settimo scudetto l’ha vissuto da ragazzino e oggi si gode un’incredibile e inaspettata Champions League. Arguto commentatore delle vicende rossoblù, capace come pochi di cogliere e interpretare gli umori di una piazza meravigliosa ma molto particolare, oggi l’abbiamo intervistato e, manco a dirlo, ne è uscita una chiacchierata davvero piacevole e divertente.
Giorgio, usando le tue parole il Bologna è passato da “uno starnuto che non arriva” ad “un siringone di morale”: quali sono le tue impressioni su queste prime partite? «Sto avendo la conferma del fatto che l’anno seguente ad un’impresa sportiva, perché per noi essere andati in Champions è come aver vinto lo scudetto, è quasi sempre un anno di fisiologica sofferenza, a maggior ragione se sei un club che non ha la possibilità di acquistare campioni per rinforzarsi: il Bologna non è una big, non ha ancora la forza di conservare in toto lo scheletro di una squadra arrivata in alto aggiungendoci dei gioielli, di fronte a determinate offerte per alcuni ragazzi cresciuti a dismisura deve cedere per poi reinvestire. Aggiungiamoci il cambio in panchina e il fatto che i giocatori hanno cominciato con un carico d’autostima derivante dalla passata stagione che è stato subito un po’ intaccato dai risultati, ed ecco spiegato questo inizio altalenante».
Che idea ti sei fatto di Italiano e della sua proposta calcistica? «Mister Italiano l’ho soprannominato in modo affettuoso ‘il Tecnico di Fastweb’ per sottolineare la sua normalità, come immagine e modo di porsi è completamente diverso dal suo predecessore. È una brava persona, lavora sodo e mi pare che abbia delle idee interessanti, per quanto un po’ rischiose. Del resto il calcio sta cambiando ancora e gli allenatori se ne devono accorgere: ecco, lui mi pare se ne sia accorto. Mi riferisco in particolare al possesso palla insistito, il famoso tiki-taka, che sta ormai tramontando in favore di un gioco più veloce e verticale, e Italiano sta andando proprio in quella direzione. Poi certo, come al solito contano i risultati…»
Dai bar ai social, a te che hai il polso dell’ambiente come sembra stia reagendo la piazza all’attuale fase di transizione? «Io mi definisco più un appassionato, perché a mio avviso il tifoso è una persona che ragiona prevalentemente di pancia, con tante pretese e poca obiettività. Mi capita di parlare con parecchi tifosi e ce ne sono alcuni, più moderati, secondo i quali serve un briciolo di pazienza e i risultati arriveranno, mentre per altri il Bologna avrebbe già dovuto esonerare Italiano prima di Monza. C’è chi prova un piacere perverso all’idea di mandare via qualcuno, per poi sperare che venga cacciato anche il sostituto e così via. È un approccio che naturalmente non condivido, al massimo mi diverte».
Ciò che ha messo tutti d’accordo è stata l’emozione dell’esordio in Champions League, 60 anni dopo la Coppa dei Campioni… «La Champions è un premio per la tifoseria e un’enorme soddisfazione per squadra e società, ma è anche una competizione nella quale dubito che il Bologna possa andare molto avanti. Dà sicuramente grande lustro, e partite come quella che si giocherà mercoledì prossimo in casa del Liverpool sono indubbiamente affascinanti, ma non va dimenticato il grosso dispendio fisico e mentale: se guardo avanti temo che anziché sperare di arrivare tra il quinto e il sesto posto dovremo accontentarci della parte sinistra della classifica. Contro la Shakhtar i rossoblù hanno fatto bene e meritavano di vincere, ma parliamo di un avversario che equivale circa ad una squadra di media Serie A. Il Liverpool l’ho visto in azione contro il Milan e sembrava facesse un altro sport…».
Sul percorso in Coppa Italia, che inizierà a dicembre, sei più fiducioso? «Vedremo, certamente Italiano ha dimostrato che nelle gare a eliminazione diretta sa il fatto suo. Bisognerà via via capire quale sarà l’apporto complessivo della rosa, che non è stringata ma nemmeno lunghissima, e quanto il Bologna sarà graziato dagli infortuni, elemento decisivo in un’annata così piena di partite: in tal senso, l’inizio non è stato confortante».
A proposito di rosa: tu sei uno di quelli che si innamora ancora dei giocatori, o pensi che nel calcio moderno non ne valga più la pena? «Io sono cresciuto con le figurine Panini e non posso fare a meno di innamorarmi: ho amato Beppe Savoldi e altri beniamini della mia epoca, e oggi ne adoro altri. Il buon Aebischer, ad esempio, a me piace davvero tanto perché lo trovo intelligentissimo. Premesso questo, sono anche uno di quelli che di fronte all’opportunità che si presenta ad un ragazzo di misurarsi in piazze più importanti riesce ad essere contento per lui, in quanto consapevole di quella che è la dimensione del Bologna: piaccia o meno, come accaduto con Motta, è comprensibile che dei professionisti possano desiderare di fare un passo avanti nella loro carriera, almeno sulla carta».
Sono celebri i soprannomi che assegni ai protagonisti rossoblù: qual è quello a cui sei più affezionato? «Tra gli ultimi ricordo sempre con piacere ‘il Cespuglione’, ovvero Zirkzee, ma uno particolarmente azzeccato credo sia stato ‘il Cipressone’ per Thiago Motta: lui mi ha sempre dato l’idea di un cipresso alto e solido ma che ogni tanto ondeggia col vento. Ora peraltro è molto più cipresso di prima, perché è vestito da Taffo, sembra che a dirigere la Juve ci sia un impresario della pompe funebri (ride, ndr). Poi non posso non citare Ravaglia: suo padre è mio amico e io l’avevo ribattezzato ‘Siringone’, quindi Federico è subito diventato ‘Siringhino’. A volte mi telefona e mi dice: “Ciao Giorgio, sono il Siringhino”. E mi strappa un sorriso».
Riguardo invece al nuovo Dall’Ara sei fiducioso o rassegnato? Per quanto tempo ancora i tifosi prenderanno l’acqua in testa? «Onestamente non so come rispondere perché è un salto nel buio e nelle scartoffie burocratiche, adesso per fare qualsiasi cosa servono migliaia di carte, è una roba terrificante. Io ho qualche capello bianco e posso dire che da qualche anno sono nati gli ‘uffici complicatori’, al giorno d’oggi è obbligatorio complicare, purtroppo i semplificatori sono stati messi al bando. Ecco, il nuovo Dall’Ara rientra fra le questioni complicatissime, l’idea di vederlo realizzato mi pare un sogno tanto quanto lo era entrare in Champions League».
Intanto Joey Saputo ha compiuto sessant’anni, quasi dieci dei quali a capo del BFC, diventando anche cittadino onorario. «Nutro una sincera stima per Saputo, ancor di più da quando ha capito una cosa che l’ex d.s. Bigon gli ripeteva spesso, ovvero che una squadra ha bisogno di sentire la presenza del suo presidente. Bigon che, apro e chiudo parentesi, qui abbiamo spernacchiato e ora è il consulente tecnico del City Football Group, quindi forse tanto un bidone non era. Da quando Joey frequenta assiduamente Casteldebole, stando a stretto contatto con mister e giocatori, le cose hanno iniziato ad andare molto meglio, anzi, credo sia stata una delle chiavi della scorsa straordinaria stagione. Voglio dire, immaginatevi Orsolini che alle 9 di mattina fa colazione con di fianco Saputo (ride, ndr)… Certo, continuo a pensare che in quanto uomo d’affari per lui il Bologna sia prima di tutto un business, ma credo anche che negli anni si sia realmente affezionato alla città e ai bolognesi, perciò ribadisco la mia stima e sono contento che gli sia stata conferita la cittadinanza onoraria».
Venendo a te, viste le tante cose fatte nel tuo percorso professionale, come possiamo definirti? O magari le definizioni troppo specifiche non ti piacciono… «Io sono fondamentalmente un cioccapiatti (ride, ndr), ho fatto una marea di cose, mi è sempre piaciuto mettermi in gioco, avere tanto da fare, il che mi ha garantito diverse alternative ogni volta che uno degli ambiti mi stava dando un po’ di arrabbiature. Forse se ne avessi portata avanti una sola sarei stato più efficace, chissà. Comunque mi considero prima di tutto un giornalista e un attore, credo siano le definizioni migliori. In generale sono uno che si diverte, a cui non interessa fare tanta carriera ma solo andare a letto alla sera contento di aver passato una bella giornata».
Cosa bolle in pentola per l’immediato futuro? «Continuerò a divertirmi con gli spettacoli teatrali. Mercoledì 16 ottobre al Duse, nell’ambito del Premio giornalistico Gianfranco Civolani, farò Champagne Bologna, dedicato al super Bologna 1987/88 di Gigi Maifredi, con Alessandro Pilloni ed Eraldo Pecci sul palco assieme a me. Poi in inverno al Modernissimo porterò in scena Le foto del babbo, incentrato sugli scatti di mio padre fotografo degli anni Trenta-Quaranta. Per ovvie ragioni tengo davvero tanto a quest’ultimo progetto e per prepararlo ci sto mettendo ancor di più il cuore».
Simone Minghinelli
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