Ma che aspettate a batterci le mani?
Sono arrivati i re dei ciarlatani, i veri guitti sopra il carrozzone […] e il cuor farà seimila capriole (Dario Fo, ‘Ma che aspettate a batterci le mani’, 1958) – La narrativa è piena di storie come queste. I piccoli e indifesi contro i giganti. Gli umili contro i ricchi e potenti. Chi è nel giusto e chi no. Trame così ce ne sono a decine, ma i finali possibili sono sempre e soltanto due, a discrezione di chi scrive e della sua visione del mondo: o gli ultimi soccombono perché quello è il loro destino, oppure vincono perché il loro essere dalla parte del giusto glielo fa meritare. Non sono più forti, non sono più scaltri. Sono buoni. Non importa che si stia leggendo la Bibbia o Harry Potter, per un nemico alto tre metri esiste una fionda capace di abbatterlo, a sconfiggere il male oscuro sono sufficienti bontà d’animo e la protezione dell’amore materno. Non c’è niente di speciale, nell’essere buoni. Nemmeno nulla di facile. E se si sceglie di restarlo e continuare a dare battaglia «ai guitti e ai teatranti» che popolano questa terra, è perché non se ne può fare a meno.
Buoni e cattivi stanno ai poli opposti e per questo, irrimediabilmente, si attraggono. I secondi vincono un po’ troppo spesso: per strada, al lavoro e pure nel calcio. Con l’aiutino, però. Coi sotterfugi, con la spintarella. E a te, buono che sei rimasto indietro, viene spontaneo chiedere: «Ma se sei così più bravo di me, perché hai avuto bisogno di un appoggio esterno per sconfiggermi?». Però intanto sei rimasto indietro, quello se n’è già andato non più a portata d’orecchio, e anche se ti avesse sentito t’avrebbe comunque ignorato. Fanno così, i (pre)potenti. Non danno spiegazioni, razziano e scappano via. Si lasciano alle spalle dei giusti sempre più avvelenati, dei vinti sempre più rassegnati.
Un’istintiva e immediata reazione può scappare, si sventola l’indice e si medita vendetta, gridando che se l’unico modo per averla vinta è truffare e lavarsene le mani, si trufferà e poi ci si laverà le mani. Non succede mai, però. Il magnetismo che attrae male e bene è solo prossimità, non somiglianza. Le due parti sono reciprocamente impermeabili e inaccessibili a chi è nato da quella opposta, e in quella opposta è destinato a rimanere. E va bene così. Perché per chi è certo di essere rimasto fedele a quello che era, quando arriverà una vittoria sarà vittoria vera. Non inquinata, originale, inscalfibile. E quando quella vittoria arriverà (perché, manzonianamente parlando, quel giorno verrà, eccome se verrà), ci sarà da battere le mani non solo per quel successo, ma per tutta la strada che è stata fatta per arrivarci. Noi siamo gente perbene, e non è una consolazione. È un vanto, una medaglia da esibire. Gli altri ne hanno a decine, ma non brillano. Non così.
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Foto: Damiano Fiorentini