Fermarsi e ripartire: due mestieri diversi
Un Paese forte nelle difficoltà, debole nella programmazione. Nella storia d’Italia, l’intreccio diventa quasi automatico. Quando il gioco si fa duro offriamo il meglio di noi stessi proprio perché siamo deficitari nella prevenzione, nell’impostazione, nella strategia. E viceversa. Le burrascose vicende legate alla pandemia da COVID-19 aggiungono semplicemente un capitolo alla già ricchissima saga.
In un contesto del genere Giuseppe Conte e il suo Governo rappresentano bersagli ideali, come da radicata tradizione nazional-popolare. Un’analisi onesta non può tuttavia prescindere dal riconoscimento di intuizioni e meriti difficili da ignorare, perlopiù concentrati nella parte iniziale e calda dell’emergenza. A livello di lockdown, ad esempio, pur nell’impossibilità di avvicinare la perfezione, l’Italia ha portato a scuola mezzo mondo. Più che decoroso anche l’atteggiamento in Europa, dove, con buona pace della narrazione sovranista, in questa fase di accordi preliminari l’Esecutivo pare aver tutto sommato retto e tenuto il punto. Beninteso: aspettando cifre, firme e verdetti. La negazione di una sufficienza, quantomeno stiracchiata, alla Fase-1 tricolore, non sfuggirebbe insomma a sospetti di faziosità e partigianeria politica.
Infinitamente più incidentato e nebuloso appare al contrario questo assaggio di Fase-2, ponte delicato tra il puro contenimento dell’emergenza e l’obbligo di guidare una difficile ripartenza. Alla base c’è un peccato originale, datato 1° aprile: il tracollo del sito INPS nel giorno del battesimo del bonus da 600 euro per i lavoratori autonomi. Della serie, se il buongiorno si vede dal mattino il consiglio è di non dimenticare l’ombrello. Il travagliato mese del Governo Conte II raggiunge il culmine nella serata di domenica 26, quando tutta Italia si sintonizza davanti alla conferenza del premier affamata di dati, tabelle e numeri. Pia illusione: va in scena una tiepida ‘melina’, decisamente fuori tempo massimo. Il piano di rinascita strutturato e coraggioso lascia spazio ad un tripudio di retorica che non riesce più a far breccia nel cuore degli italiani. Nulla di ‘tecnico’: tamponi, test sierologici, la fantomatica app e una data certa per la liquidazione della cassa integrazione in deroga diventano bandiere da ammainare al cospetto della necessità di prendere ancora tempo. «Se ami l’Italia, mantieni le distanze»: lessico e slogan da pura emergenza, più che da ripartenza.
Dietro la difficoltà di svoltare con prontezza si nasconde con ogni probabilità il vizio cronico della politica italiana, senza distinzione di colore: l’incapacità di decidere. Sì, da almeno un quarto di secolo, ovvero a partire dal crollo dei grandi partiti ideologici e dalla conseguente banalizzazione della cosa pubblica, la politica ha progressivamente abbandonato la sua vocazione primaria. Che è l’arte della sintesi tra i saperi, anche brutale se occorre. La fastidiosa sensazione è che, al contrario, dietro questo proliferare di task force, commissioni, consessi e conclavi più o meno laici si mascheri un bisogno di spartire responsabilità con le autorità dei singoli settori specifici. A questo sospetto si affianca una domanda logica: per una ricostruzione che si annuncia ardua (se non proibitiva), può bastare questo Governo così debole, figlio di pura alchimia parlamentare (questa sì, degna dei bei tempi andati), perché i maggiori azionisti (PD e M5S) trovarono legittimo interesse comune nel tirare a campare pur di non consegnare il Paese al tandem Salvini-Meloni?
L’Italia è attesa da un vero e proprio Dopoguerra nei mesi a venire, e il piccolo cabotaggio non sembra rappresentare la ricetta ideale. E mentre il futuro pesca dal passato termini come ‘governissimo’ e ‘solidarietà nazionale’, pronti per essere calati sul tavolo se il baratro economico dovesse materializzarsi sotto i piedi dell’attuale Esecutivo, un augusto veterano delle stanze romane come il tifosissimo rossoblù Pier Ferdinando Casini ritiene che il Governo abbia ormai imboccato il viale del tramonto. Questione di mesi, se non addirittura di settimane. Come se non bastasse, nelle ultime ore a Conte è piombato tra capo e collo anche il richiamo stizzito da parte della CEI, intervenuta a gamba tesa in risposta alle restrizioni in materia di culto. Un fulmine a ciel sereno per il premier, sempre premuroso nel custodire i rapporti con Santa Sede e mondo vaticano. Attenzione, da quelle parti il fiuto per le dinamiche politiche nostrane resta notoriamente ben allenato. La storia d’Italia, specie nella sua parentesi novecentesca, è lì a testimoniarlo.
Francesco Piggioli
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Francesco Piggioli, grande cuore rossoblù, è uno storico contemporaneista.