Dalla bomba mancata alla squadra del dopolavoro: ecco la Fukuoka di Tomiyasu
Forse la storia di Takehiro Tomiyasu, come quella di altre centinaia di migliaia di giapponesi, sarebbe stata prepotentemente riscritta, o addirittura fatalmente compromessa, se il 9 agosto 1945 gli americani non avessero deciso all’ultimo momento di bombardare la città di Nagasaki, considerata il piano B rispetto all’intenzione di partenza, ovvero sganciare la bomba H su Kokura, distante appena una ventina di chilometri da Fukuoka, la futura città natale del terzino rossoblù. Il cambio di strategia si dovette a un denso strato di fumo e nubi che avvolgeva la zona di Kokura-Fukuoka. Una giornata di sole, e tutto sarebbe andato diversamente.
Risparmiata dagli effetti nucleari, Fukuoka ha potuto galoppare veloce verso il suo stato attuale, che la vede come une delle città più dinamiche dell’estremo sud del Giappone, subito dietro Osaka. Storicamente, la città di Tomiyasu è una porta tra Cina, Corea e Giappone. Quando i mongoli invasero l’isola alla fine del Duecento, forti di 900 navi e 30.000 uomini, passarono proprio da qui. La prima volta furono respinti da un tifone. La seconda pure. Questi venti impetuosi, assai frequenti nel canale che separa Asia e Giappone, furono definiti kamikaze, che letteralmente sta per ‘vento divino’, termine poi prestato ai soldati impegnati in missioni suicide. Tomiyasu sembra un kamikaze del primo tipo, impetuoso sì (12 cartellini gialli in 57 presenze) ma anche molto riflessivo. I classici errori d’ingenuità, tipici dei calciatori asiatici, stanno diventando sempre più un ricordo sbiadito delle sue primissime prestazioni.
Fukuoka, dov’è nato e cresciuto anche calcisticamente, è molto più vicina in linea d’aria a Seoul (540 chilometri) rispetto alla capitale Tokyo (1.100), a cui è collegata dalla fine degli anni Settanta con il celebre treno veloce Shinkansen, l’equivalente del nostro Frecciarossa, ma con tempi di sosta nelle varie stazioni incredibilmente più rapidi (massimo un minuto e mezzo-due minuti), cosa che permette di coprire il viaggio verso la capitale in meno di sei ore.
Il club in cui Takehiro è cresciuto è stato fondato solo nel 1982 con la denominazione di Chuo Bohan. Ci giocavano i dipendenti di un’azienda omonima con sede nella lontanissima Shizuoka. Quando i dirigenti della squadra vollero fare sul serio, si accorsero che a Shizuoka non c’era spazio per altre squadre (i Jubilo Iwata, famosi per aver ingaggiato Totò Schillaci, vengono proprio da lì). Fu così che il Chuo Bohan, che era poco più di un dopolavoro, venne trasferito di peso a Fukuoka, associandosi alla J League, un po’ come se il Piacenza si fosse sradicato dal Garilli per installarsi al Dall’Ara. Inconcepibile per noi italiani, ma assolutamente comprensibile per un giapponese degli anni Ottanta ancora semidigiuno di pallone. A Fukuoka il giovane Takehiro ha visitato Shofoku-Ji, considerato tra i templi meglio conservati del Giappone, una costruzione di fine anni 1.100, ma non la più antica. Per chi passasse di lì, esistono anche templi shintoisti dell’anno 900. Le radici storiche della città si manifestano nello Hakata Gion Yamakasa, uno dei più grandi festival giapponesi, attivo a più riprese da 750 anni: le sue origini si richiamano a un’epoca remota in cui un monaco buddista pose fine a una grave epidemia, pregando e spargendo acqua santa per le vie della città su una specie di carro addobbato, che poi rappresenta ancor oggi il fulcro del festival, ai nostri occhi simile ad un carnevale di carri allegorici.
Nonostante questo, Fukuoka viaggia veloce nel futuro: la sua area metropolitana ormai sfiora i 6 milioni di abitanti e più volte ha tentato di diventare sede olimpica, dopo aver ospitato i mondiali di nuoto. Tomiyasu non ha giocato in altre squadre se non negli Avispa Fukuoka (gli eredi dei dopolavoristi degli anni Ottanta), ma col Giappone Under 20 ha potuto metter piede all’interno di stadi prestigiosi, come quello di Yokohama, che ha ospitato la finale dei Mondiali 2002. All’epoca, Takehiro aveva solo quattro anni. Difficile che ricordi qualcosa. Eppure il calcio giapponese è decollato da lì. E assieme a lui forse anche la vocazione di questo terzino instancabile, che fa gola a mezza Europa.
Luca Baccolini
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