Dozza, il borgo dipinto
«Non facciamo confusione, si chiama ‘Dozza’, non ‘la Dozza’, il carcere di Bologna», mi correggono. La differenza, girovagando tra le viuzze del borgo medievale risalente al dodicesimo secolo, a poco più di venti chilometri dalla città, è lampante. Ci si sente osservati a Dozza, qui i muri muovono lo sguardo, sussurrano poesie, raccontano leggende. Galleggiando tra il groviglio di stradine, alcune più impervie di altre, si susseguono aquiloni, volti seducenti, paesaggi collinari, animali reali e fantastici: a Dozza ogni spazio murario è dipinto e la città esplode di colori.
«Dozza è un borgo sospeso nel tempo – spiega Simonetta Mingazzini, presidente della Fondazione Dozza Città d’Arte –. Qui si respira la storia, che affonda le sue radici nel Medioevo e le cui tracce trovano la sua essenza nella Rocca, che è diventata la nostra casa. In questo luogo magico ha sede il Museo della Rocca, in cui, oltre a preservare il suo patrimonio artistico, ogni anno organizziamo eventi e rassegne culturali, come la Biennale del Muro Dipinto e Fantastika, kermesse dedicata all’illustrazione del genere fantastico in tutte le sue sfumature, con un particolare sguardo all’arte fantasy».
A vegliare sulla placida vita di Dozza, oltre al grifone rampante che campeggia nella piazza principale e ne è il simbolo, vi è quindi la Rocca Sforzesca, gioiello dell’età medievale (era una proprietà di Caterina Sforza) che ha visto come suoi ultimi inquilini i Malvezzi-Campeggi, famiglia senatoria tra le più potenti di Bologna che ricevette Dozza come feudo per volere del cardinale Lorenzo Campeggi nel 1528: «Da quel momento in poi questa divenne una piccola corte, che spesso ospitava personaggi di alto lignaggio. Vi sono infatti diversi spazi dedicati alla vita ‘cortigiana’, come gli ampi saloni di rappresentanza, a cui poi si affiancano stanze più piccole dedicate alle pratiche quotidiane, come uno studiolo che da poco è stato riportato alla luce ed è già visitabile». Dunque le stanze portano ancora le impronte di quella che ora è una casa-museo, ivi comprese le cucine dai finimenti settecenteschi e le cantine, dove oggi si trova l’Enoteca Regionale, altro fiore all’occhiello del borgo.
La storia di questo luogo ha preso una nuova direzione negli anni Sessanta, quando per la prima volta venne inaugurata la Biennale del Muro dipinto, una call for artist che in sessant’anni ha portato oltre duecento artisti a trasformare Dozza in uno dei borghi medievali più caratteristici e suggestivi d’Italia.
«L’idea del Muro Dipinto – racconta Agnese Tonelli, collaboratrice della Fondazione Dozza Città d’Arte – nacque da un’intuizione dell’allora sindaco Tomaso Seragnoli, il quale a partire dal 1960 iniziò a chiamare artisti italiani ma anche di calibro internazionale per dipingere i muri delle abitazioni del borgo di Dozza. Nei primi quattro anni si trattò di un evento isolato, concepito quasi come una festa di paese. Al concludersi della rassegna artistica, spesso le opere venivano cancellate per far spazio a quelle dell’anno successivo. Solo a partire dal 1965, visto il successo dell’iniziativa, si decise di creare una commissione inviti e si optò per la cadenza biennale dell’evento, cosa che permise alla manifestazione di crescere qualitativamente e di strutturarsi per diventare un vero e proprio appuntamento artistico».
Tra gli artisti che hanno contribuito a dare nuova vita al borgo si ricordano Sebastian Matta, Giuseppe Ziganina, Bruno Saetti, Emilio Contini, Concetto Pozzati, Remo Brindisi, Renzo Grazzini, Giacomo Soffiantino, Riccardo Schweizer, Riccardo Licata, Aldo Bergonzoni, Ennio Calabria, Cesare Sughi, Norma Mascellari e, tra i più recenti, Marcello Jori, Bruno Benuzzi, Karin Andresen Omar Galliani, Giorgio Bevignani e Andrea Mario Bert. Alcune di esse, come si ricordava pocanzi, sono state rimosse (‘strappate’, in gergo tecnico) e sono attualmente conservate presso la Rocca, dove si trova anche il Centro Studi e Documentazione del Muro Dipinto che custodisce i numerosi bozzetti delle opere.
Il borgo ha poi assistito negli ultimi decenni ad una vera e propria contaminazione artistica: tra le strade di Dozza si alternano oggi opere ‘classiche’ ad altre dallo stile contemporaneo, in un dialogo ininterrotto tra passato e presente. Un percorso coerente di una località che nel corso dei secoli ha conservato la capacità di rinnovarsi, senza mai perdere la sua identità.
A partire dagli anni Duemila, infatti, la street art ha allargato il giro di artisti e invano anche le strade del Comune di Dozza e – dal 2007 – della località attigua di Toscanella, con opere realizzate da importanti artisti bolognesi e non quali Rusty, Eron, Dado, Wany, Basik, Ericailcane, Cuoghi Corsello, Joys, Hem, Moneyless, Alberonero e Paperresistance.
Dozza è quindi un luogo in cui arte e natura si compenetrano fino a fondersi in un abbraccio di colori e forme senza età. Una galleria a cielo aperto che ruba lo sguardo e il cuore dello spettatore. Varcare i suoi confini crea uno stato di amnesia temporanea, in un incontro estatico con la bellezza.
Giuseppe Mugnano
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Foto: fondazionedozza.it