Krejci: “A Bologna gli anni più belli della mia vita, avrei giocato in qualsiasi ruolo. Mihajlovic un grande, tra i giovani punto su Svanberg e Skov Olsen”
Talvolta, nel calcio come nella vita, non serve essere i protagonisti principali sulla scena per lasciare un segno tangibile. Lode ai gregari, si direbbe nel ciclismo, ma anche sul rettangolo verde c’è sempre chi si sacrifica più degli altri per il bene della squadra e di chi, grazie al suo talento, ti fa vincere le partite e si prende le copertine. Ladislav Krejci, 29 anni compiuti appena due giorni fa, è un gregario particolare, vista la qualità del suo mancino e una carriera vissuta quasi interamente all’attacco. Anche a Bologna, dove è approdato nell’estate 2016 e si è subito messo sulle spalle la maglia numero 11, quella che un tempo identificava l’ala sinistra. Col passare del tempo e degli allenatori, però, i felsinei hanno cambiato interpreti e modo di giocare, la concorrenza in quella zona di campo è aumentata e al ragazzo di Praga è stato chiesto di svolgere altri compiti, più vicino alla propria area che a quella avversaria. In casi del genere si può storcere il naso e lamentarsi, oppure accettare la sfida e mettersi a disposizione del mister e del gruppo. ‘Lada’ ha scelto la seconda opzione, e tutte le volte che è stato chiamato in causa (84 presenze complessive, con 3 gol e 12 assist) ha onorato alla grande la gloriosa maglia rossoblù. Un anno fa ha scelto di tornare in patria allo Sparta Praga, il club che lo ha reso calciatore, ma Bologna e il Bologna sono sempre rimasti nel suo cuore. E anche qui, sotto le Due Torri, l’affetto e la stima per lui non verranno mai a mancare.
Lada, è un piacere ritrovarti: come stai e come vanno le cose lì? «Ora sto bene ma arrivo da una stagione un po’ tribolata, perché nell’ultima partita giocata a Bologna mi ero stirato e quindi ho dovuto saltare tutto il ritiro con lo Sparta. Questo mi ha creato problemi e ha generato altri infortuni nel corso del campionato, non sono mai riuscito a trovare la miglior condizione».
Rifaresti la scelta di tornare in patria o hai qualche rimpianto? «Qui sono felice ma ero felice anche a Bologna, troppo, lì ho trascorso i quattro anni più belli della mia vita. Negli ultimi due non ho giocato molto e l’ho fatto fuori posizione, da terzino, ma ci tenevo ad aiutare la squadra e mi sono messo a completa disposizione del mister: pur di dare una mano avrei accettato qualsiasi ruolo. In seguito ho pensato di tornare qui per ritrovare la mia collocazione naturale e magari conquistarmi un posto in Nazionale per Euro 2020, ma a causa dei guai fisici non ci sono riuscito».
I numeri però sono dalla tua: 27 presenze, 5 gol e 5 assist. «Ero rientrato allo Sparta con l’intento di mettere a disposizione dei miei compagni l’esperienza accumulata in Italia: guardando solo le statistiche posso ritenermi soddisfatto, ma a livello di prestazioni speravo di fare ancora meglio».
Hai fatto accenno agli Europei: te l’aspettavi una Repubblica Ceca così competitiva? «Me lo sentivo che avremmo disputato un buon torneo, peccato non aver centrato la semifinale ma i ragazzi meritano solo applausi. Magari in rosa non ci saranno dei giocatori top, però il gruppo è straordinario, e in questo genere di competizioni è la cosa che conta di più: l’Italia di Mancini, in tal senso, è l’esempio migliore».
Per lo Sparta, invece, un secondo posto che immagino vi abbia lasciato l’amaro in bocca… «Purtroppo siamo arrivati dietro allo Slavia (la storica rivale cittadina dello Sparta, ndr) di dodici punti, perciò quella che sta iniziando dovrà essere la stagione del riscatto. Vogliamo vincere il campionato e puntiamo a fare quanta più strada possibile in Champions League: si parte tra una settimana, secondo turno di qualificazione contro il Rapid Vienna».
Dal presente al recente passato: ripensando a Bologna quali sensazioni provi? «È qualcosa che non riesco a spiegare bene con le parole… A Bologna ho vissuto un’esperienza meravigliosa fin dal primo giorno: sul mio cammino ho trovato tante persone perbene che hanno fatto di tutto per aiutarmi, e la vita in Italia è quanto di meglio potessi desiderare: amavo girare per la città, uscire a cena o semplicemente andare a prendere un caffè, cose semplici ma speciali. E secondo me la Serie A, insieme alla Premier League, è il massimo a cui un calciatore può aspirare: sono contento e orgoglioso di averci giocato».
Roberto Donadoni, Filippo Inzaghi e Sinisa Mihajlovic come mister: con chi ti sei trovato meglio? «Intanto parliamo di tre grandi ex calciatori, ed essere allenati da chi ha fatto la storia del calcio è un onore. Con Donadoni ho giocato quasi sempre nel primo campionato, in cui credo di aver fatto buone cose, e meno nel secondo, poi con Inzaghi ho ritrovato un po’ di continuità ma iniziando ad arretrare il mio raggio d’azione, perché facevo il quinto di centrocampo. Mihajlovic, come detto, mi ha utilizzato soprattutto in difesa, ma al di là delle presenze e del ruolo devo dire che lui è stato il migliore che abbia mai avuto, come allenatore e come uomo: oltre a saper fare bene il suo mestiere, sa come parlare ai giocatori, e soprattutto ti dice sempre e solo la verità».
Non oso immaginare quanto sia stato difficile, durante i mesi della leucemia, non averlo con voi e saperlo in ospedale a lottare per la vita. «In quel terribile periodo venne fuori la forza di un gruppo splendido, tutti vicini a lui e pronti ad aiutarci l’un l’altro. Fu complicato, ovvio, ma ci rese più forti e ci fece conoscere ancora meglio la persona Mihajlovic. Dopo aver saputo della leucemia ci disse che a Verona per l’esordio in campionato ci sarebbe stato, ma vista l’aggressività della malattia nessuno di noi pensava che ce l’avrebbe fatta a venire. Invece arrivò in albergo e ci disse: “Ve l’avevo promesso ragazzi, è un segnale che voglio mandarvi per farvi capire com’è la vita”».
Segui ancora la squadra? «Certo, quando riesco guardo le partite o comunque mi informo per sapere come stanno andando, sono ancora in contatto con alcuni ragazzi del gruppo».
Con chi hai legato di più tra i compagni conosciuti sotto le Due Torri? «Mbaye, Da Costa e Sansone, anche se il più grande amico che ho trovato a Bologna è Adam Nagy, siamo come fratelli. Adesso è a Bristol ma ci sentiamo quasi tutti i giorni, è davvero un ragazzo straordinario».
E pure sul campo mi pare sia cresciuto tanto, a giudicare dalle prestazioni fornite a Euro 2020. «Si è disimpegnato alla grande contro avversari di livello mondiale, la sua Ungheria avrebbe meritato di passare il turno. È stato comunque uno spettacolo vederli all’opera, specialmente con lo stadio di Budapest sempre pieno».
Immagino che anche a Praga non vediate l’ora di riabbracciare i vostri tifosi… «Assolutamente sì, il calcio senza tifosi è triste. In fin dei conti giochiamo per loro e con loro, un gol o una vittoria in uno stadio vuoto ti danno soddisfazione ma non ti regalano le stesse emozioni, le stesse vibrazioni. Mi auguro che il peggio sia alle spalle e che anche nei vari campionati nazionali si possa tornare man mano alla normalità».
Tornando al Bologna, secondo te cosa manca per compiere il definitivo salto di qualità e avvicinarsi all’Europa? «Nei quattro anni in cui ho giocato io, pur ottenendo salvezze quasi sempre tranquille, non siamo mai riusciti a superare quota 50 punti, ed è un vero peccato. Non so dire esattamente cosa manchi, la sensazione è che manchi poco perché la squadra ha molti margini di crescita e attorno ad essa c’è tutto per lavorare al meglio. Insomma, deve arrivare anche il momento del Bologna, sono sicuro che arriverà».
La società sta puntando forte sui giovani: avendoli visti e vissuti da vicino, quali sono quelli che ti hanno colpito di più? «Mi è sempre piaciuto tantissimo Svanberg, perché oltre ad essere un ottimo calciatore è un professionista incredibile, fa tutto al 100%: prima dell’allenamento cura con attenzione lo stretching, dopo l’allenamento prosegue e va in palestra. E poi beve solo acqua, nemmeno il caffè (ride, ndr). Sinceramente non ho mai visto un giovane così forte sul piano mentale, ha sia il talento che la testa per fare una carriera super. E poi Skov Olsen, nonostante le difficoltà. Rispetto a Mattias ci ha messo di più ad ambientarsi, ha fatto fatica con la lingua e ha sofferto la lontananza dalla Danimarca, dove viveva con la famiglia: a Bologna si è ritrovato per la prima volta da solo, poi per fortuna lo ha raggiunto la sua ragazza. Però portate pazienza e continuate ad avere fiducia in lui, ha un potenziale pazzesco».
I ricordi più dolci in maglia rossoblù? «In primis il gol del momentaneo 1-0 segnato alla Lazio nell’ottobre 2019: come altre volte Sinisa aveva ottenuto il permesso di uscire per qualche ora dall’ospedale e venire in panchina con noi, quella rete fu soprattutto per lui. E poi gli assist per Verdi e Destro in Bologna-Sampdoria del settembre 2016, col pubblico del Dall’Ara che al momento del cambio si alzò in piedi per applaudirmi: fantastico».
Ripensando a quel destro al volo di Verdi, puoi dire di aver fornito l’assist per uno dei gol più belli nella storia del club… «Simone tirò fuori dal cilindro un colpo degno dei migliori fuoriclasse, quindi il merito va dato soltanto a lui. Però dai, anche il mio lancio non era male (ride, ndr)».
Direi di concludere con un tuo messaggio per i tifosi del BFC. «Li saluto caramente perché i bolognesi sono persone gentili e affettuose, sempre pronte a dare una mano: nei confronti miei e della squadra ho sempre percepito tanto amore, anche nei momenti più duri. Con tutto ciò che sta succedendo nel mondo, tra COVID, crisi economica e posti di lavoro che saltano, noi calciatori siamo chiamati a dare ancora di più per regalare almeno qualche piccola gioia alla gente. Ai tifosi rossoblù auguro questo, che il Bologna li faccia sorridere e festeggiare come meritano».
Simone Minghinelli
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