Ex, amici come prima: Mattia Destro
L’arrivo in Stazione Centrale a Bologna, il 18 agosto 2015, e le centinaia di tifosi festanti ad attenderlo. La doppietta casalinga al temibile Napoli di Sarri, quello stesso inverno, o l’incornata a tempo ormai scaduto contro il Sassuolo di due anni fa, e la successiva corsa a perdifiato per esultare che gli costò l’ennesimo infortunio della sua avventura bolognese. Queste immagini, certo, ma anche il clamoroso errore a pochi centimetri dalla porta durante un derby contro la Spal, che nel campionato seguente venne persino immortalato in una beffarda coreografia dai tifosi ferraresi, o quell’atteggiamento un po’ scostante, testa bassa e braccia ciondolanti, di chi sente di predicare nel deserto e non fa nulla per nasconderlo.
Ciascun tifoso del Bologna ha in mente una fotografia diversa di Mattia Destro e dei suoi anni in rossoblù.
Doveva essere il nuovo idolo della piazza, e in certi momenti lo è indubbiamente stato, ma ha anche diviso a lungo l’opinione pubblica. Quella del BFC è la maglia che ha vestito il maggior numero di volte in carriera (112) e con cui ha segnato il maggior numero di gol (29), ma le sue stagioni sotto le Due Torri sono state a dir poco travagliate e ben al di sotto delle aspettative che erano state riposte in lui. Doveva essere la punta di diamante del progetto di crescita graduale ma costante voluto dal patron Saputo, ha segnato invece una parentesi di gioie sparute e svariate delusioni.
I tanti infortuni patiti lo hanno condizionato, questo è innegabile, ma resta il dubbio che Mattia fosse semplicemente inadatto a vestire i panni dell’idolo, ovvero colui che dovrebbe trascinare la folla, non esserne trascinato. Pareva sempre in attesa di qualcosa, come se l’amore del pubblico e una manciata di palloni a partita calibrati al centimetro sui suoi piedi gli fossero dovuti, quando ciò che gli si chiedeva era proprio di caricarsi sulle spalle una piazza e una squadra che avevano bisogno di un leader, un esempio, una guida.
Nessun allenatore è mai riuscito a entrargli sottopelle: ha dato il meglio di sé con Donadoni e certamente Mihajlovic ha saputo solleticare qualche corda rimasta a lungo non pizzicata, ma l’amore è un’altra cosa. Qui non è mai veramente scoppiato, e di pari passo andava spegnendosi quello dei tifosi. Così, quando Destro è risalito su un treno con destinazione Genova, alla stazione non c’era nessuno di coloro che cinque anni prima gli avevano spalancato le braccia.
Rimane il rimpianto di ciò che il ragazzo poteva essere e non è stato, non solo a Bologna, e il dispiacere di essersi accomiatati da un fiore troppo fragile per sbocciare, anziché da un calciatore accolto come il bomber che avrebbe dovuto spaccare il mondo.
Fabio Cassanelli
© Riproduzione Riservata – Disponibile anche sul numero di Bologna Rossoblù Magazine in edicola dal 30 luglio
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