Mihajlovic: “Dalla Coppa dei Campioni alla guerra, ancora mi chiedo perché… Bologna nel cuore, della sofferenza non bisogna vergognarsi”
Questa mattina durante la quarta edizione del Festival dello Sport, evento organizzato come ogni anno a Trento dalla Gazzetta dello Sport, è intervenuto anche Sinisa Mihajlovic. Tra passato e presente, l’allenatore del Bologna ha rilasciato le seguenti dichiarazioni, suddivise per argomenti principali.
Stella Rossa da leggenda – «Eravamo fortissimi e neanche lo sapevamo… Poi, partita dopo partita, ce ne siamo resi conto, continuavamo a vincere e alla fine quasi tutti hanno fatto una grande carriera. Vincere una Coppa dei Campioni è molto difficile, e pensate che all’epoca il nostro premio fu di cinquemila euro a testa, al cambio di oggi. Altri tempi… Savicevic? L’unico giocatore a stirarsi scendendo dal letto (ride, ndr)».
Dal pallone alla guerra – «La Nazionale jugoslava era fortissima, nel 1992 eravamo forse i migliori ma non abbiamo potuto partecipare all’Europeo. Mijatovic, Suker, Boban, Prosinecki, Pancev e potrei andare avanti, avevamo due squadre di titolari. Infatti in seguito tantissimi di noi sono andati all’estero e hanno giocato in grandi club. Ad un tratto è impazzito tutto, da un giorno all’altro è scoppiata la guerra: ero in vacanza in Spagna, chiamai mia madre al telefono e in sottofondo sentivo gli spari. Tornai subito indietro e mi resi conto che il conflitto era scoppiato proprio nella mia città, la prima casa distrutta fu la nostra: la tirò giù il mio migliore amico, come un fratello, che però era croato. Salvò i miei genitori facendoli andare via in tempo, perché era stato obbligato a buttare giù tutto per ordini superiori. Varie volte mi sono chiesto come possa cambiare tutto in così poco tempo…».
Difensore per mano di Eriksson – «Fu lui ad arretrare la mia posizione in campo. Mi diceva che avrei dovuto giocare difensore centrale, ma io non la pensavo così. Non lo provammo mai in allenamento, poi in Coppa Italia contro il Cagliari venne espulso Mannini e il mister mi mise difensore: da lì cominciò tutto».
Fratello Zlatan – «Una volta, in un Inter-Juventus, tra me e lui finì a testate, poi andai a cercarlo nello spogliatoio ma non c’era. Dopo un po’ di tempo sono diventato il vice di Mancini all’Inter, e il d.s. Branca mi comunicò che la società aveva acquistato Ibrahimovic. Allora gli dissi che non avrei avuto problemi, se lui si fosse comportato bene: da lì siamo diventati amici fraterni. Sanremo? Io ho cantato bene, gli altri male (ride, ndr). Ma del resto io trent’anni fa in Serbia ho inciso un disco…».
Brutto rapporto con Firenze – «Mi fischiavano tutti, anche i nostri stessi tifosi mi dicevano “zingaro di merda”, mi odiavano e non so bene il perché. Per fortuna oggi, quando ci torno, il clima è un po’ cambiato. Io sono pacifico, ma qualche volta là non è stato così e non per colpa mia».
Un uomo che lotta, non un eroe – «Ci sono tante persone che stanno male e si vergognano, ma non devono farlo. Durante il periodo della leucemia non volevo fare l’eroe ma solo dire a tutti come stavo, anche perché sono un personaggio pubblico e potevo mandare un messaggio importante: ho pianto, sì, ma non c’è nulla di male, ho scoperto che è giusto anche piangere. A Verona ero più vivo che morto, sono andato in panchina perché l’avevo promesso ai giocatori e perché anche così volevo combattere la malattia. Quel giorno non ho visto immagini di debolezza, bensì la forza di un uomo che combatte e lotta: mai perdere la voglia di vivere e lottare».
Cuore rossoblù – «Bologna club e Bologna città sono due entità meravigliose: sarò sempre legato ad entrambe, portandole nel cuore. In situazioni del genere si vedono le persone di spessore, e lì ne ho viste tante che mi hanno voluto bene, non è una cosa banale. Anche coi giocatori cercavo di non mostrarmi malato, provavo a dargli forza nascondendo il fatto che stessi male. È importante agire così, perché si gli altri ti vedono sofferente poi stanno peggio anche loro».
Foto: Getty Images