Un mercato non di riparazione ma di previsione, Bologna più scaltro di quanto si voglia far credere
Forse a Bologna il fenomeno è stato accentuato da anni e anni di gestioni pericolanti, ma resta il fatto che il calcio, in generale, è l’unica azienda privata al mondo i cui bilanci interessano spasmodicamente l’opinione pubblica. Ci fosse un tale impegno nel computare anche il debito pubblico nazionale e le manovre finanziarie che si succedono di Governo in Governo, probabilmente vivremmo in un Paese senza accise sulla benzina. Ma si sa che un prestito oneroso con obbligo di riscatto e premi a gol accende gli animi più di quanto faccia qualche migliaio di banchi a rotelle buttato al macero.
La premessa è d’obbligo perché già si sentono in lontananza le voci degli eterni scontenti, che d’inverno, si sa, risuonano più potenti. Spiace per loro constatare che pure a questo giro di mercato il BFC ha dimostrato di pensare al domani. Cioè di non considerare gennaio come il mese della riparazione (agli errori passati) ma come quello della previsione (degli investimenti futuri). È così che si devono leggere gli acquisti di Aebischer, Kasius e Rojas, che ad essere onesto ho sentito nominare per la prima volta soltanto quando li ho visti stampati sulle nostre pagine locali. Carneadi, certo, ma di sicuro più rassicuranti di Cesar, Mutarelli e altri ex illustri chiamati a questi lidi in anni passati. Per fortuna c’è chi è pagato per conoscere altri campionati oltre a quello italiano: l’idea che uno svizzero tetracampione nazionale con lo Young Boys scelga Bologna non mi dispiace affatto; idem dicasi per Kasius, se è vera la notizia che avrebbe snobbato l’aereo privato del Bayern Monaco per fermarsi a Casteldebole. Anche meno romanzata, la sua preferenza sarebbe comunque un bel segnale.
Capitolo cessioni: anche su questo fronte la società ha dimostrato scaltrezza. Ha tenuto vivo il dibattito su Orsolini (mentre questi tornava a collaborare a suon di gol), ne ha rialzato il valore di mercato, e intanto ha ceduto a circa un milione in più di quanto l’aveva pagato Andreas Skov Olsen, acquistato per 6 milioni e rivenduto a 7 (più bonus e percentuale sulla futura rivendita). Io non so se Bigon debba fare ammenda per il palese flop del danese, che oltre a segnare poco (3 gol 71 apparizioni) non si è rivelato nemmeno un campione di simpatia umana. Di sicuro, però, il d.s. va ringraziato per come lo ha saputo piazzare. Sempre che valga l’assunto secondo il quale i bilanci di una società di calcio contano più di quelli di casa nostra. Il che spiega anche molto di come va il mondo là fuori da un po’ di tempo a questa parte.
Luca Baccolini
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