Chiacchierata a tutto tondo questa mattina per Marco Di Vaio, intervistato da Michel Cavina durante la trasmissione Club Bologna in onda su Radio Nettuno. Dall’emergenza Coronavirus allo straordinario lavoro di Sinisa Mihajlovic e del suo staff, dai giovani talenti acquistati la scorsa estate al suo legame con la città, passando per le eccessive sanzioni arbitrali e la separazione con Mattia Destro, ecco tutte le dichiarazioni rilasciate dal responsabile scouting rossoblù, suddivise per argomenti principali:
Qualche palleggio per beneficenza ‒ «Pallone o rotolo di carta igienica, ancora mi ricordo come si fa (ride, ndr). È una cosa carina e divertente, ora che si deve rimanere a casa e c’è più tempo libero si cerca di organizzare qualche iniziativa per sensibilizzare, perché ce n’è bisogno. Con poco si riesce a fare qualcosa di utile, venendo in aiuto agli ospedali, ai dottori, agli infermieri e alle altre persone che stanno facendo un lavoro massacrante».
Calcio fermo, giocatori a casa ‒ «Siamo in contatto continuo con loro: si annoiano, scalpitano, vogliono allenarsi, non vogliono stare fermi. In questo momento la parte più difficile è fargli capire che per il bene di tutti è fondamentale stare in casa, quindi tramite i preparatori e lo staff tecnico stiamo organizzando appositi allenamenti per cercare di tenerli attivi».
Distanti ma uniti ‒ «C’è grande collaborazione. Nell’ultimo anno e mezzo o quasi, trascorso insieme all’attuale gruppo di lavoro, sono successe tante cose che hanno fortificato questa unione. Tutta la squadra segue lo staff, capeggiato dal mister, ma anche la società, andiamo avanti compatti sulla stessa strada».
Tutto un altro Bologna con Sinisa ‒ «A gennaio dell’anno passato, quando pensavamo al cambio in panchina, lo vedevamo come una figura in grado di dare una svolta significativa al nostro campionato. Lo avevamo contattato già a dicembre ma non era pronto, perché come noto era in trattativa col Valencia e sembrava potesse andare ad allenare lì, poi ci ha dato la disponibilità ed è arrivato. Eravamo sicuri che potesse garantirci un cambio di marcia importante in ottica salvezza, ma quello che ha costruito insieme ai suoi collaboratori nei mesi a seguire, dalla mentalità alla forza e alla convinzione, è stato qualcosa di straordinario».
Lavoro egregio anche nelle difficoltà ‒ «Dallo scorso luglio il mister sta combattendo una durissima battaglia e non ha potuto continuare il suo lavoro giorno per giorno, ma la squadra e la società hanno finito col fortificarsi ancora di più. Sinisa, con la sua forza, ha dato un messaggio incredibile ai ragazzi, e anche lo staff ci ha messo tanto del suo, fornendo sempre indicazioni volte alla crescita, alla convinzione, alla ricerca del gioco e di una precisa identità. Tutto ciò è stato portato avanti anche in sua assenza, nonostante il gruppo soffrisse un po’ per la mancanza di una guida come lui, poi al suo ritorno è arrivato quel cambio di passo, quello scatto che ci aspettavamo. Questo è avvenuto perché i giocatori hanno ritrovato serenità sul piano mentale, ma anche grazie alla bontà del lavoro svolto in precedenza».
Troppi cartellini ‒ «Veniamo sanzionati con eccessiva facilità, purtroppo è un dato di fatto con cui dobbiamo convivere. Siamo una squadra aggressiva, teniamo il baricentro alto e facciamo della grinta e del recupero palla istantaneo un mantra, ma onestamente qualche cartellino ci è stato assegnato in maniera molto leggera e ci è costato caro: in diverse gare ci siamo ritrovati in inferiorità numerica e abbiamo poi dovuto fare a meno di giocatori importanti in quelle successive. Lo abbiamo rimarcato e continuiamo a rimarcarlo, pur rispettando l’operato degli arbitri, perché anche per questo motivo abbiamo qualche punto in meno».
Presente giovane, futuro roseo ‒ «L’incredibile seconda parte della scorsa stagione ha spinto la società a investire di più, guardando però sempre ai giovani. Abbiamo vissuto un’estate molto positiva per lo scouting e il lavoro dei direttori, perché siamo riusciti a prendere tutti o quasi tutti quei giocatori che avevamo monitorato e segnalato, considerandoli potenziali rinforzi. È significativo come Sabatini, arrivato ad inizio giugno, ci abbia indicato tre-quattro profili su cui eravamo già anche noi, il parere positivo di un dirigente della sua esperienza ci ha confermato che eravamo sulla strada giusta. E infatti questi ragazzi ci stanno dando delle soddisfazioni: alcuni hanno avuto subito un impatto importante, alcuni ci hanno messo un po’ di più, vedi Schouten, altri non hanno ancora fatto vedere il loro reale valore, come ad esempio Skov Olsen, ma tutti hanno talento. L’adattamento al calcio italiano è complicato, specie per chi magari è un po’ più introverso come Andreas, però secondo me abbiamo in rosa dei giovani che possono essere il futuro ma anche già il presente del Bologna, e questo è un fattore importante per il valore del club».
Destro, cosa non ha funzionato ‒ «A Mattia ho sempre detto che lui si aspettava troppo dagli altri. Nei suoi primi due anni qui parlavamo spesso, poi qualche comprensibile frizione col club per via delle decisioni prese c’è stata, lo racconto in maniera serena perché tutti abbiamo sempre cercato di fare il meglio per il Bologna. Non era solo una questione tecnica e di gol, Mattia rappresentava la speranza di un’intera tifoseria e un punto di riferimento per i compagni di squadra, era questione di combattere e interpretare il ruolo in maniera diversa. Forse in quel momento non era l’attaccante ideale per quel tipo di squadra, magari lo sarebbe stato maggiormente ora che la squadra è più forte, anche se nessuno si può permettere di avere giocatori che non lottano. Scegliendo il Bologna dopo essere stato nella Roma e nel Milan credo pensasse che sarebbe bastato poco per raggiungere determinato obiettivi, invece la fatica è doppia: non basta essere lucidi sottoporta, c’è tutto un lavoro che va fatto in tante partite per aiutare gli altri, per portare a casa il punticino e la prestazione. Serviva più quantità, e secondo me Destro è più un giocatore di qualità, un centravanti d’area di rigore, mentre noi spesso ci arrivavamo a fatica in area. Non ha funzionato principalmente per queste ragioni, poi piano piano i rapporti tra le parti si sono irrigiditi, ci abbiamo provato in tanti ma senza trovare la formula giusta. Onestamente ci ha provato anche Mattia, in particolare con gli ultimi due allenatori dopo l’infortunio patito sotto la gestione Donadoni, ma ha fatto fatica a rimettersi in moto e ritrovare posto tra i titolari, anche per il fatto di essersi trovato davanti un calciatore come Palacio, che per natura è portato a lottare, combattere e correre prima di pensare al gol, dando una grossa mano alla squadra. Rodrigo unisce l’esperienza e la lucidità mentale alla forza fisica, nonostante l’età fa ancora dei numeri pazzeschi».
Bologna, legame speciale ‒ «A Roma sono nato e cresciuto, c’è un forte legame affettivo ma non di vita, perché ho passato più tempo in giro per il mondo che a casa, sono andato via ventisei anni fa dopo averne trascorsi lì diciotto. Certo, a Roma ci sono i miei genitori, mia sorella e tanti amici, ma ormai la mia città è diventata Bologna: io e la mia famiglia siamo arrivati nel 2008, e anche durante la parentesi canadese abbiamo sempre mantenuto contatti e rapporti qui, infatti appena ho rimesso piede in Italia sono tornato sotto le Due Torri. Penso di rimanerci per il resto della mia vita, le mie figlie stanno crescendo qui e sono felicissime: adesso la mia casa è Bologna».
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