Il presidente dell’AIC Damiano Tommasi, intervistato questa mattina nel corso della trasmissione Tutti convocati su Radio 24, ha commentato gli ultimi sviluppi relativi all’eventuale – e ormai sempre più difficile – ripresa dell’attività calcistica. Ecco le sue dichiarazioni, suddivise per argomenti principali:
Parchi sì, centri sportivi no – «In questo momento così particolare, la responsabilità è il discrimine di tante risposte: quando si dice che si può andare a correre in un parco, non equivale a fare un allenamento da professionista. Il parco è un luogo pubblico, un impianto sportivo presume invece che qualcuno si prenda questa responsabilità per aprirlo, e quindi occorre un protocollo validato di accesso alle strutture che tuteli la salute degli atleti».
Sport individuali e di squadra – «È stato chiesto che ci sia l’opportunità anche per gli atleti degli sport di squadra di potersi allenare individualmente: allenarsi in un campo sportivo all’aperto, dopo settimane di allenamenti in casa, ha un suo valore specifico per un professionista. Al ministro Spadafora, che mi ha motivato la sua scelta, ho fatto presente che se esiste un protocollo per gli sport individuali, che da lunedì prossimo potranno ripartire, lo si può applicare in maniera individuale anche ai calciatori. Il protocollo che ha presentato la Commissione medico-scientifica federale non è ancora stato validato, ci dicono che per ripartire il 18 deve essere rivisto e corretto, ma non sappiamo in che punti e siamo preoccupati, perché senza quel protocollo non si può riprendere. A questo punto abbiamo chiesto di prendere spunto dagli sport individuali per farne uno ad hoc anche per i calciatori».
Polemiche e strumentalizzazioni – «Non ci dobbiamo preoccupare se ci sono società che non vogliono prendersi la responsabilità sull’applicazione del protocollo, ci dobbiamo preoccupare che ci sia la sicurezza per poter riprendere e che abbia una precisa validità far svolgere l’allenamento in un impianto. Se poi qualcuno ci marcia sopra e strumentalizza la situazione non riguarda i calciatori: oggi il calcio possiede un indotto non indifferente e spazi mediatici che altri non hanno, quindi è ovvio che sia terreno dove si infila anche chi ce l’ha col nostro sport e non vede l’ora di prenderlo di mira».
Fare calcio in sicurezza – «In Germania non stanno giocando, si stanno allenando con determinate precauzioni perché il livello di rischio è sotto una certa soglia, cosa che purtroppo da noi non c’è ancora. L’abbassamento del rischio ti permette di fare determinate cose: sappiamo che il rischio zero non sia possibile, ma quale sarà quello concreto che possiamo correre ce lo devono dire altri, non lo decidono i calciatori. Bisogna capire cosa significa fare calcio in sicurezza: noi ci rimettiamo alla comunità scientifica e alle sue indicazioni, poi l’orizzonte temporale sul quale ragionare è un altro discorso, perché questa epidemia ci ha insegnato che si tratta di un elastico che si allunga e viene accorciato solo dalla nostra speranza».
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