La chiacchierata odierna tra Walter Fuochi e Simone Minghinelli ha come argomento Diego Armando Maradona, probabilmente il calciatore più forte di tutti i tempi, scomparso ieri in Argentina all’età di 60 anni.
Maradona è stato il più grande di sempre? «Certe graduatorie non hanno molto senso perché tutto cambia, tutto evolve, calcio compreso, però la sensazione è che Maradona sia stato il più grande di ogni epoca. Va anche detto che pochi di noi hanno visto all’opera Pelé e in generale Pelé si è visto poco, avendo giocato solo in Brasile a livello di club, in tempi di televisione ancora molto rarefatta. Per pesare Pelé ci vuole un brasiliano che lo abbia visto dal vivo e abbia più di 70 anni, per pesare Maradona basta molto meno, in piena società televisiva e grazie all’ampiezza di orizzonti che ha coperto: mondiale con la Nazionale argentina, europeo col Barcellona e italiano col Napoli. Quindi abbiamo molti più parametri per giudicarlo. Di sicuro è stato un giocatore incredibilmente decisivo, capace di far vincere squadre che altrimenti non avrebbero mai vinto: in quelle formazioni non c’erano altri fenomeni, come ad esempio nel Brasile di Pelé, erano squadre composte da giocatori normali che venivano baciati dalla grazia della sua presenza».
Perché Diego era unico? «La sua qualità tecnica era di un altro pianeta, i gol e le giocate che stiamo rivedendo in lungo e in largo appartengono a pochissimi o forse solo a lui. Questa è la base, il substrato. Poi c’è una suggestione ‘psicologica’ legata all’uomo che sfida: la sua infanzia povera, la sua provenienza dal sud del mondo (anche se un sud calcisticamente molto evoluto), la sua modesta statura di atleta, il potere. Di Maradona è stato ovviamente adorato l’eccezionale talento calcistico, ma è stato vissuto anche e soprattutto questo senso di sfida, che lo ha sempre accompagnato e ha accresciuto l’affetto nei suoi confronti. Spesso i campioni sono divisivi, amati o odiati, Diego invece è stato quasi solo amato, perché è sempre riuscito a rappresentarsi come il difensore degli ultimi e lo sfidante dei potenti. Io non l’ho mai conosciuto di persona e non posso sapere se sia la lettura più esatta da fare, però è stata quella più ricorrente: nella nostra epoca vince l’immagine, e quando te ne vai resta quella».
Eredità ed eredi: cosa ci lascia Maradona? «Fuoriclasse del genere sono pezzi unici, non hanno un seguito, non esistono imitatori, sono artisti e come tali irripetibili. Meglio quindi soffermarsi sul salto di popolarità che il mondo del pallone ha compiuto grazie a lui. Il calcio è un fenomeno planetario che nel corso del tempo ha avuto sei, otto o al massimo dieci interpreti che l’hanno fatto arrivare a tutte ma proprio a tutte le platee, dalla più ricca alla più povera. Ecco, Maradona è stato il principale. E ci ha lasciato in eredità un calcio moltiplicato per dieci, cento o forse mille rispetto a quando ha messo piede per la prima volta su un rettangolo verde».
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