Acquafresca:

Acquafresca: “Rossoblù da parte sinistra della classifica, la mentalità è cambiata. Certe cose mi hanno ferito, mi dispiace non aver restituito al Bologna quanto fatto per me”

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Robert Acquafresca sbarca a Bologna nell’estate del 2011, durante la prima sessione di mercato targata Albano Guaraldi. L’attaccante torinese, allora 24enne, ha già raccolto 135 presenze e segnato 35 gol in Serie A, 32 dei quali con la maglia del Cagliari, sicuramente la squadra in cui è riuscito ad esprimersi al meglio. Resta sotto le Due Torri per cinque anni, arrivando a superare le 100 presenze ma aggiungendo al suo bottino soltanto 9 reti, 5 in A e 4 in B. Durante la sua permanenza, sulla panchina rossoblù si avvicendano diversi allenatori: Pierpaolo Bisoli, Stefano Pioli, Diego Lopez (con cui trova finalmente una certa continuità), Delio Rossi e infine Roberto Donadoni, sotto la cui gestione finisce addirittura fuori rosa. Nel capoluogo emiliano Robert riesce a togliersi delle soddisfazioni, segnando a San Siro il gol del definitivo 0-3 contro l’Inter nel febbraio 2012 e una delle due reti rossoblù nel 2-3 casalingo contro l’Avellino nel giugno 2015, match che spalancherà ai felsinei le porte della memorabile finale playoff contro il Pescara. In generale, però, non riesce mai a ripetersi sui livelli di Cagliari, e con il passare del tempo il rapporto con la piazza si logora irrimediabilmente. Nel gennaio 2017 si trasferisce in Serie B alla Ternana, e un anno più tardi vola in Svizzera, al Sion, realizzando 5 gol in 9 gare. Attualmente Acquafresca è svincolato, e oggi lo abbiamo raggiunto telefonicamente per chiedergli cosa vede nel suo futuro, e se nonostante il colpo di fulmine mai scattato continui a seguire le vicende del Bologna.

Robert, mi risulta che al momento tu sia svincolato: sei in cerca di una squadra o stai progettando un futuro senza tacchetti? «A ritirarmi non ci penso, ho solo 32 anni, voglio giocare ancora. Mi è scaduto il contratto col Sion e per il momento non mi sono arrivate offerte soddisfacenti, per cui continuo a guardarmi intorno».

Il campionato è appena iniziato, ma quest’anno sembra che in Serie A non esistano squadre materasso e che la lotta sia aperta su tutti i fronti: sei d’accordo? «Effettivamente sembra proprio così, ma è troppo presto per giudicare: per avere una panoramica più chiara meglio aspettare l’undicesima-dodicesima giornata. Per quanto riguarda la lotta per lo scudetto, però, per la prima volta vedo favorite una fra l’Inter e il Napoli, mentre alla Juventus auguro di riuscire a vincere la Champions».

E questo Bologna dove può collocarsi? «Sicuramente fuori da qualsiasi discorso salvezza, e questo è dovuto soprattutto al cambio di mentalità portato da Mihajlovic lo scorso anno. Il Bologna deve e può ambire a stare nella parte sinistra della classifica, come del resto anche il Cagliari».

Te lo avrei chiesto io stesso, quale delle due squadre ritieni più attrezzata? «Una domanda e un parallelismo che mi aspettavo. Al Cagliari resto molto legato perché lì ho vissuto i miei anni migliori, ma a prescindere dal mio passato mi sembra che ad oggi abbia un organico leggermente migliore: ha acquistato Olsen, Rog, Nainggolan, Nandez e Simeone, ha ritrovato Pellegrini dopo il prestito dell’anno scorso, ha di nuovo in rosa Castro e solo la sfortuna ha tolto dai giochi Pavoletti e Cragno. Maran può disporre di talmente tanti potenziali titolari da doverne tenere in panchina qualcuno, il che da un certo punto di vista può diventare quasi un problema, ma immagino sia un problema che tanti allenatori vorrebbero avere».

I ragazzi di Mihajlovic sono partiti con 7 punti nelle prime 3 partite, poi hanno un po’ rallentato: al di là del valore delle avversarie, credi che c’entri qualcosa l’assenza del mister o il motivo dei passi falsi è da ricercare altrove? «Intanto fammi sottolineare quanto sia stato bello il gesto della squadra che dopo la trasferta di Brescia è andata a trovarlo in ospedale. Premesso questo, penso che addebitare la ragione delle sconfitte con Roma e Udinese e del pari di Genova all’assenza del mister sia troppo facile, ingiusto e ingeneroso nei confronti di un tecnico che l’anno scorso è riuscito a tirar fuori il Bologna una situazione molto pericolosa, e che senza dubbio è affiancato da uno staff molto preparato. Inoltre, con tutta la tecnologia di cui disponiamo oggi, Mihajlovic ha tanti modi per farsi sentire dai suoi ragazzi anche senza essere presente fisicamente, e credo che la sua assenza e la voglia di renderlo orgoglioso sia uno stimolo ulteriore per i giocatori, non un freno».

Il Bologna crea tanto ma concretizza poco, nonostante un reparto offensivo di tutto rispetto e molto variegato: qual è l’attaccante che ti piace di più, tra quelli attualmente in rosa? «Difficile scegliere, è veramente un parco attaccanti di grande livello. Sansone ha qualità, Palacio non dimostra gli anni che ha, Santander ha fatto buone cose al suo primo anno di Serie A, e poi c’è Mattia, che bene o male i suoi gol li ha sempre segnati».

A proposito di Destro, quando è arrivato a Bologna sono state riposte in lui con grandi aspettative, e forse non è mai riuscito a esprimersi al suo meglio: ti rivedi un po’ nel suo percorso? «Assolutamente sì, io stesso avevo aspettative diverse riguardo la mia esperienza a Bologna. Quando ci sono arrivato avevo 24 anni, ero il terzo giocatore più giovane per reti segnate in Serie A, ne avevo fatte più dello stesso Di Vaio a quell’età. Per quanto mi riguarda si sono verificate una serie di situazioni che non hanno contribuito a farmi rendere al meglio, Mattia dal canto suo ha le spalle larghe e sa badare a se stesso, resto convinto che riuscirà a trovare la formula giusta».

Qualche tempo fa hai dichiarato di aver trascorso un periodo sotto le Due Torri in cui ti eri un po’ intestardito all’idea di volerti giocare una maglia: col senno di poi faresti scelte diverse da quelle fatte allora? «Dipende di che periodo parliamo, forse alla fine, anche se io non ho mai rubato lo stipendio né puntato la pistola in testa a nessuno. Oltre a questo, già quando eravamo in Serie B sono partito fuori rosa, sembrava tutto fatto per uno scambio che coinvolgeva me e un giocatore del Palermo, che poi però si è tirato indietro negli ultimi frangenti della trattativa. Sono stato reintegrato, e alla prima partita contro il Pescara ho subito fatto gol. Quando a gennaio è arrivato Corvino sono stato nuovamente tagliato, e come destinazioni mi sono state proposte Bari e Catania. Io in quel momento ero secondo in classifica col Bologna, se avessimo mantenuto quel piazzamento saremmo stati promossi, e la coppia con Cacia funzionava bene, per quale motivo avrei dovuto accettare di trasferirmi in squadre di metà classifica e che iniziavano già ad avere i problemi societari che conosciamo tutti? Solo un matto avrebbe accettato».

Hai già in parte anticipato una domanda che volevo farti: c’è qualcosa che non sei mai riuscito a dire ai tifosi del Bologna e vorresti dire adesso? «Quello che ti stavo accennando, e inoltre che noi siamo calciatori, non pacchi postali. Quando ci viene proposto un trasferimento ci informiamo sulla squadra nella quale dovremmo andare a giocare, mi sembra il minimo, e in quel momento non me lo faceva fare nessuno di andarmene. Sono contento di essere rimasto e a fine anno di aver segnato quel gol all’Avellino nella semifinale di ritorno dei playoff: non ho restituito al Bologna tutto ciò che ha fatto per me, ma almeno ho contribuito al suo ritorno in A. Ho bei ricordi della città, ci è nato mio figlio e mi ha fatto conoscere tanta gente perbene che ha capito i momenti che ho attraversato, ma sono molto dispiaciuto per l’odio che mi è stato riversato addosso dai tanti che hanno parlato a vuoto».

Ti riferisci a qualche episodio in particolare? «Mi è stato imputato di essere rimasto solo per ragioni economiche, ma voglio dire, chi è che non lo avrebbe fatto? Un anno ho ricevuto un’offerta dall’Apoel Nicosia, sarei potuto andare a giocare la Champions League ma mi veniva offerta la metà dell’ingaggio che percepivo a Bologna: perché avrei dovuto accettare?».

Sul rendimento, non all’altezza nemmeno delle tue aspettative, ha inciso anche il rapporto con gli allenatori? «In generale penso che da un certo punto in poi abbia avuto una grande influenza un pregiudizio nato nei miei confronti. Due giorni dopo l’arrivo di Donadoni, quando ancora mi dovevo allenare per la prima volta, il suo vice Luca Gotti che già mi aveva avuto a Cagliari venne a dirmi che non ce la faceva a vedermi in quelle condizioni, che gli dispiaceva. Cosa può significare questo? Che qualcuno aveva fatto circolare delle voci negative sul mio conto. Mi ha fatto male, ma credo che ad un certo punto le dinamiche personali vadano accantonate a vantaggio dell’interesse della squadra, perciò sono stato zitto e ho ingoiato i miei rospi. Purtroppo le ingiustizie ci sono in tutti i campi, sono toccate a mio padre che ha fatto l’impiegato e anche a me, che comunque non dimentico mai di essere un ragazzo fortunato. Avrei potuto avere di più di quello che ho avuto ma anche meno, quindi cerco di guardare il bicchiere mezzo pieno, e nonostante alcune difficoltà avute non riesco a non tifare anche un po’ per il Bologna».

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Foto: Damiano Fiorentini