Federico Agliardi non ha nessuna intenzione di appendere i guantoni al chiodo, e a quasi 37 anni continua a divertirsi difendendo i pali di una porta. Dopo aver raccolto 36 presenze con la maglia rossoblù, dal 2014 il numero 1 bresciano milita nel Cesena, impegnato nell’ostico girone B di Serie C. Oggi, a due giorni dal match del Dall’Ara tra i ragazzi di Sinisa Mihajlovic e il Milan di Stefano Pioli, tecnico proprio di quel Bologna che ottenne prima un nono e poi un tredicesimo posto, lo abbiamo contattato per parlare della squadra di ieri e per commentare l’attuale cammino dei felsinei, determinati a rialzare subito la testa dopo la brutta figura rimediata in Coppa Italia.
Federico, come procede la tua avventura a Cesena? «Stiamo attraversando un buon momento, abbiamo trovato una continuità di risultati che nella prima parte dell’anno ci era un po’ mancata. Siamo appena fuori dalla zona playoff e nelle prossime due partite affronteremo squadre che lottano per non retrocedere, quindi sicuramente motivate, ma noi dobbiamo accumulare altri punti».
Domenica sera si affronteranno il Bologna e il Milan di Pioli: che stagione fu quella 2011-2012, quando l’attuale mister rossonero condusse il Bologna al nono posto? «Un’annata speciale, straordinaria, una delle migliori della recente storia rossoblù. Ricordo che la concludemmo togliendoci soddisfazioni importanti, come ad esempio la vittoria al Dall’Ara contro il Napoli».
Qual è il tuo più bel ricordo a tinte rossoblù? «Porto nel cuore entrambi i campionati: nonostante quello da record sia stato il primo, anche concludere il secondo con 44 punti fu un buon risultato. Riuscimmo a centrare con discreto anticipo la salvezza e non era per niente scontato, dato che la situazione societaria era tumultuosa e molto lontana da quella in cui versa ora il Bologna grazie a Saputo, a cui credo andrebbe intitolata una terza torre (ride, ndr)».
Allora nelle gerarchie partivi dietro a Gillet, ma venisti promosso titolare l’anno successivo visti i problemi fisici di Curci: è frustrante fare il secondo? «Ero ben consapevole delle gerarchie di allora, Jean François veniva da stagioni importanti a Bari mentre io arrivavo dall’avventura in Serie B col Padova, ma quando ne ho avuto la possibilità credo di aver dato un buon contributo alla causa del Bologna. Fare il secondo non è un problema, che il portiere sia un ruolo particolare lo impari già da bambino: del resto, in due in porta non si può giocare (ride, ndr)».
Quest’anno Skorupski ha commesso qualche sbavatura e si è attirato critiche in più di un’occasione: da collega, qual è la tua opinione su di lui? «Essendo più grande di lui l’ho visto crescere, a mio parere ci sa fare e ha ottime potenzialità, che spesso e volentieri è riuscito a mostrare anche a Bologna. Trattandosi di un investimento importante da parte della società, è normale che le aspettative nei suoi confronti siano alte, ma credo che nel complesso abbia sempre assicurato delle buone prestazioni. Purtroppo non si riesce mai ad accontentare tutti, e soprattutto per un portiere è facile diventare bersaglio di critiche alla prima sbavatura: è un destino comune a tutti noi estremi difensori, lo sappiamo bene e dobbiamo abituarci».
Nel 2013 il Bologna sfiorò le semifinali di Coppa Italia, mentre quest’anno è uscito quasi subito, dando l’impressione di aver preso sottogamba il torneo: può succedere di snobbare una competizione o semplicemente alcune partite nascono storte? «I giocatori che in campionato trovano meno spazio hanno voglia di mettersi in mostra, e un trofeo resta pur sempre un trofeo, è l’obiettivo che vuoi raggiungere da quando inizi a giocare a calcio. Non credo che si possa rinunciare tanto facilmente alla possibilità di vincere qualcosa, è più probabile che l’emergenza infortuni e la mancanza di amalgama tra le secondo linee abbiano reso la partita molto più complicata».
Secondo te a che piazzamento possono ambire i felsinei in campionato? «La rosa è buona, a mio avviso ci sono tutte le carte in regola per arrivare decimi o undicesimi, specialmente in un anno come questo in cui senza dubbio ogni giocatore ha una motivazione extra. Mi riferisco alla situazione di Mihajlovic: la sua è una storia che fa venire la pelle d’oca, una di quelle che cementano lo spogliatoio tramite un sentimento che non è nemmeno spiegabile a parole».
Fabio Cassanelli
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