In un mondo del calcio sempre più dominato dai soldi e dall’apparenza, dall’arroganza e dalla stravaganza, dove basta un bagliore per illudersi di aver trovato l’oro, dove il talento crede di poter sempre avere la meglio sui sacrifici, ci sono ancora storie di ragazzi semplici capaci di emozionare e farci riappacificare con questo meraviglioso sport. Discorso che può valere per diversi giocatori del Bologna attuale, un gruppo che a livello di serietà, professionalità e maturità sembra uscito da un’altra epoca, e in particolare per Mattia Bani, vero e proprio elogio della normalità, nell’accezione più positiva del termine. Una normalità che si è fatta strada grazie ad un lunga gavetta, partendo dai campi di provincia della Toscana per arrivare, un gradino dopo l’altro, fino alla Serie A. Titolarissimo nel Chievo, lo scorso giugno il centrale classe 1993 di Borgo San Lorenzo è stato acquistato dai felsinei per allungare le rotazioni in difesa, ma in breve tempo si è conquistato la piena fiducia del tecnico Sinisa Mihajlovic e un posto fisso nei primi undici. Non solo, perché in 21 presenze ha anche realizzato 4 gol, tutti fondamentali o addirittura decisivi. Oggi, nel bel mezzo della settimana che conduce alla prestigiosa sfida dell’Olimpico contro la Lazio, lo abbiamo intervistato a Casteldebole, scorgendo nei suoi occhi la gioia per aver realizzato un sogno ma anche la voglia di non fermarsi e raggiungere nuovi traguardi. Con la maglia rossoblù.
Mattia, com’è cambiata la tua vita negli ultimi mesi? «Tanto, e ne sono davvero felice. Ero arrivato qui a Bologna per continuare ad imparare e confermarmi in Serie A, mi sono ritrovato a giocare quasi tutte le partite e ho anche segnato dei gol pesanti, cosa piuttosto inusuale per me (ride, ndr). Ma ancor di più mi soddisfa e mi rende orgoglioso il rendimento generale della squadra, stiamo facendo un ottimo campionato».
E tu sei uno dei protagonisti principali: l’avresti mai detto alla vigilia della stagione? «Sinceramente no, perché ero stato preso per essere uno dei primi sostituti dei difensori centrali titolari. Dentro di me ero consapevole che mi sarei ritagliato il mio spazio, lavorando sodo come ho sempre fatto, ma non immaginavo di essere chiamato in causa fin dalle prime giornate con questa continuità».
Per chi non lo sapesse, questa non è la tua prima esperienza in Emilia: raccontaci un po’ il tuo percorso… «Ho iniziato a giocare in Serie D attorno ai 16-17 anni, arrivando da settori giovanili dilettantistici, quindi ho fatto un anno e mezzo nella Primavera del Genoa e da lì sono passato alla Reggiana in C: quella la ricordo come un’annata molto formativa ma complicata, perché ci salvammo in extremis ai playout. In seguito mi ha acquistato la Pro Vercelli, con cui ho conquistato la promozione in B nel 2014 per poi restarci tre anni, da lì il trasferimento al Chievo in Serie A e infine il Bologna».
E il primo contatto col Bologna quando è avvenuto? «Verso la seconda metà di giugno, mi trovavo in vacanza e ho ricevuto la telefonata del mio procuratore. I due club si sono messi d’accordo molto rapidamente, dopo qualche giorno ero già a Casteldebole per visite e firma, non vedevo l’ora di cominciare».
Quanto sono state e sono tuttora importanti per la tua crescita due figure come Mihajlovic e Danilo? «Il mister mi ha dato e sta continuando a darmi tanto, è stato uno dei primi a volermi qui e lo ringrazierò all’infinito. Lui è uno dei principali motivi per cui ho accettato subito il Bologna: il suo modo di giocare mi è sempre piaciuto molto e svariati calciatori sono migliorati sotto la sua gestione, cosa che infatti sta accadendo anche a me. Per quanto riguarda invece Danilo, innanzitutto è un amico, mi trovo benissimo con lui e credo che questo abbia facilitato anche la nostra intesa sul campo. E poi è uno straordinario esempio da seguire, fin dal ritiro estivo mi ha dato ottimi consigli e mi ha reso tutto più semplice».
Ogni tanto viene spontaneo ripensare al 13 luglio scorso, a quella drammatica conferenza stampa di Sinisa, e la conclusione è solo una: questo gruppo ha già fatto qualcosa di straordinario. «Se la gente all’esterno non si è quasi resa conto delle difficoltà che abbiamo dovuto superare, essendo riusciti a farle passare in secondo piano, il merito è di tutti. In primis di Mihajlovic, che durante la battaglia contro la malattia non ha mai cercato scuse ma ha sempre continuato a mandarci nuove proposte e input positivi. Poi del suo staff, che all’improvviso ha perso il proprio punto di riferimento ma ha continuato a lavorare nello stesso identico modo, e della società, che ha gestito alla grande la situazione. Anche noi ragazzi siamo stati bravi, perché ci siamo messi a completa disposizione e ci siamo compattati ogni giorno di più, senza lamentele ma sfidando a muso duro tutti gli ostacoli».
Detto questo, sembra che nessuno di voi si voglia accontentare: nello spogliatoio quale obiettivo vi siete posti? «Credo che il proverbio che più si addice a noi in questo momento sia ‘l’appetito vien mangiando’: abbiamo lo stesso spirito del nostro allenatore, siamo affamati e spavaldi, nessuna sfida ci spaventa. Mancano ancora molte partite, intanto arriviamo a 40 punti e poi vediamo, non ci precludiamo nulla. Quello che l’anno scorso è apparso come un risultato straordinario (decimo posto con 44 punti, ndr), noi vogliamo renderlo qualcosa di normale, vogliamo che sia semplicemente la base verso traguardi più prestigiosi».
Un solo punto nelle due gare casalinghe contro Genoa e Udinese, pur con mille attenuanti: ora come si vanno a sfidare le corazzate Lazio e Juventus? «Come sempre, a viso aperto, pur consapevoli di avere di fronte due squadre formidabili. La Lazio mi piaceva fin dall’inizio ed ero realmente convinto che potesse fare un campionato di vertice, ma la forza dell’avversaria di turno non è qualcosa che ci condiziona: l’abbiamo dimostrato all’andata e anche qualche settimana fa, sempre all’Olimpico ma contro la Roma».
A proposito del match di sabato, guai a pensare che la Lazio sia solo Immobile: c’è tanto altro. «Esatto, a cominciare da un ambiente carico a mille che ora allo scudetto ci crede per davvero, e ogni weekend spinge la squadra a dare sempre qualcosa in più. E poi una serie di giocatori incredibili, da Milinkovic-Savic a Correa, da Luis Alberto allo stesso Caicedo, il livello è altissimo. Ecco perché credo sia meglio pensare soprattutto a noi stessi, a tirare fuori il meglio, perché anche questo Bologna ha qualità importanti che possono mettere in difficoltà chiunque».
Fin qui hai segnato 4 gol e spesso noi di ZO ti abbiamo accostato a Salvatore Fresi, che nella stagione 2001-2002 ne realizzò 8: adesso ti tocca quantomeno eguagliarlo… «Già quattro non sono pochi, ma cercherò di riuscirci per non farvi fare brutta figura (ride, ndr). Scherzi a parte, è qualcosa a cui non ero abituato, in carriera non ne avevo mai fatto più di uno a stagione: mi auguro di continuare così, di farmi trovare ancora nel posto giusto al momento giusto, non solo per me ma soprattutto per regalare altri punti alla squadra».
Ma è più facile segnare una rete o evitarla? «Visti i numeri di quest’anno direi segnarla (ride, ndr). Subiamo gol da troppe partite di fila e la cosa non ci piace affatto, anche se sappiamo che il nostro modo di giocare e interpretare le partite ci porta a rischiare qualcosa. Ma non deve essere una scusante, difensivamente si può e si deve fare meglio, per non dover sempre essere costretti a fare un gol in più degli avversari».
A livello di collettivo è questa la principale lacuna che state cercando di correggere? «Direi di sì. E come ripete spesso il mister, non è responsabilità esclusiva della retroguardia ma di tutta la squadra, perché ormai nel calcio di oggi ci si difende in undici: gli attaccanti e i centrocampisti devono fare più filtro, e noi dietro dobbiamo migliorare nella lettura di determinate situazioni. Ci stiamo lavorando e spero che molto presto si vedranno dei progressi».
Singolarmente, invece, dove credi di dover ancora migliorare e dove ti stai scoprendo più forte? «Devo perfezionare tutti quegli aspetti legati all’esperienza, letture e decisioni sia con la palla che senza. Al di là del talento, sono cose che si migliorano giocando e acquisendo una sicurezza sempre maggiore, Danilo ad esempio ha quasi dieci anni più di me e sotto questo aspetto è un maestro. Per il resto, non so se vale come risposta ma mi sento più sereno, sono felice di giocare in una squadra così. E non solo perché è composta da bravissimi ragazzi, cosa che vado ripetendo da un po’, ma specialmente per il calcio che propone: qui ci divertiamo e andiamo sempre in campo con entusiasmo. Essendo reduce da una stagione a dir poco travagliata al Chievo, era proprio quello di cui avevo bisogno».
Com’è la vita di Mattia Bani lontano dal rettangolo verde? «Sono un ragazzo molto tranquillo, il tempo libero mi piace trascorrerlo con la mia ragazza Sofia e vivere a pieno il luogo in cui vivo, staccando un po’ dal calcio. Nonostante sia cresciuto non troppo lontano da qui, ammetto che Bologna la conoscevo poco: ho scoperto una città veramente stupenda».
E dell’ambiente, della tifoseria, cosa ti ha colpito maggiormente? «Rimango sempre piacevolmente sorpreso dall’entusiasmo che si respira, come quando abbiamo vinto a Roma e la mattina dopo abbiamo trovato tanti tifosi ad attenderci qui a Casteldebole: gesti del genere ti restano nel cuore per sempre, anche quando smetti di giocare. Passeggiando per strada sento il calore della gente, e noto che c’è una grande educazione, elemento che non si trova dappertutto. Al di là dei risultati, a Bologna una parola carina non manca mai, e avere un rapporto del genere con i propri sostenitori è bellissimo».
Oltre che a Sinisa e ovviamente a te stesso, per la caparbietà e i tanti sacrifici fatti, a chi ti senti di dire grazie? «Alla mia famiglia, ai miei genitori, perché mi hanno permesso di rincorrere e realizzare questo sogno, cosa tutt’altro che scontata. Hanno iniziato fin da quando ero piccolo, portandomi ogni giorno al campo d’allenamento, poi mi hanno appoggiato la mia decisione di andare via da casa in giovane età, e mi hanno sostenuto nei momenti difficili. Quando tutto va male, sono queste le sole persone che ti restano accanto, dandoti la forza di non mollare e andare comunque avanti».
Adesso qual è il tuo sogno, la cosa a cui aspiri di più? «Spero di confermarmi ad alti livelli qui a Bologna, mi riempirebbe di gioia. Anche per il modo in cui sono arrivato, non dico tra lo scetticismo generale ma comunque come una semplice riserva, dimostrare tutto il mio valore e diventare un po’ alla volta una colonna di questa squadra sarebbe per me una grande vittoria».
Simone Minghinelli
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