Bologna atteso dalla delicatissima sfida casalinga contro il Verona, Bologna in cerca di un attaccante per completare e rinforzare la sua rosa. Ebbene, qui abbiamo proprio un centravanti che ha vestito sia la maglia rossoblù (42 volte) che quella dell’Hellas (56), segnando 173 gol complessivi in carriera di cui 134 in Serie B, secondo miglior marcatore di sempre. Sotto le Due Torri non ci siamo dimenticati di Daniele Cacia, tra i principali protagonisti dell’emozionante promozione nel massimo campionato del 2014-2015, conquistata anche grazie alle sue 12 reti. E oggi insieme a lui, che all’età di 37 anni è svincolato e nell’attesa della chiamata giusta studia da d.s., abbiamo parlato di tutto questo, constatando come anche il bomber calabrese non abbia mai dimenticato Bologna.
Daniele, è un piacere ritrovarti: cosa stai facendo in questo periodo? «Sto portando avanti un corso da direttore sportivo, anche se purtroppo a causa della pandemia non siamo ancora potuti andare a Coverciano a dare l’esame. Per il resto, casa e famiglia».
Quindi è ufficiale il tuo ritiro dal calcio giocato? «Anche l’altro giorno è uscita una notizia che sosteneva questo, ma io non mi sono mai espresso in termini così perentori. Ho avuto diverse occasioni per tornare a giocare in Serie C ma non è ciò che aspetto, l’avevo dichiarato anche l’anno scorso dopo l’addio al Piacenza: o mi arriva un’offerta dalla B o smetto. Presumo che ormai non mi arriverà più, sono realista, però mai dire mai…».
Riesci comunque ad allenarti? «Per quello che si può fare sì, con le palestre chiuse bisogna organizzarsi per svolgere il lavoro di forza in casa, e poi tanta corsa. Non vedendo un obiettivo concreto nel breve periodo diventa anche difficile, ma cerco di mantenermi in forma».
Il tuo ritorno a Piacenza, nel 2019, non è andato come speravi: cos’è successo? «Alcune cose non si sono incanalate come immaginavo. E siccome ho raggiunto un’età in cui non devo stare in maniera forzata da nessuna parte, ho pensato che fosse meglio dedicare più tempo alla mia famiglia anziché rimanere in un posto che non sentivo mio».
Quanto è forte il rammarico per non essere riuscito a superare Stefan Schwoch in vetta alla classifica marcatori all-time della Serie B? Ti mancavano solo due gol… «Il rammarico c’è eccome perché è il colmo, dopo aver passato una vita in B, l’80% buono della mia carriera: l’ho sempre sentita come la mia categoria, la mia casa. Si vede che doveva andare così, mi tengo quanto fatto di buono perché ne vado orgoglioso, consapevole che avrei potuto fare qualcosa in più ma anche molto di meno».
Il caso più emblematico è Caputo, ma si possono citare anche Di Carmine e Torregrossa: perché loro una vera chance di dimostrare il proprio valore in A l’hanno avuta e tu no? «Hai fatto tre nomi in cui mi rivedo molto, perché qualche anno fa c’ero io nei loro panni. Potevo fare quel tipo di percorso ma a volte, oltre alla bravura, serve anche la fortuna di trovare l’uomo giusto al posto giusto e nel momento giusto: in tal senso, De Zerbi con Caputo è stato fenomenale. Io nel Bologna, per esempio, a 31 anni ho riconquistato la Serie A e con un allenatore intenzionato a puntare su di me avrei magari potuto vivere gli ultimi anni di carriera ad alti livelli, invece sono state fatte scelte diverse. Questo aspetto durante il mio percorso mi è mancato, poi magari avrò fatto altri mille errori e me ne prendo la colpa».
Guardando al tuo passato, cos’hanno rappresentato per te Bologna e Verona? «Parliamo innanzitutto di due piazze, e in particolare di due tifoserie, che fin da bambino ti affascinano, e io ho avuto la fortuna di giocarci in rapida sequenza. Per me è stato un privilegio indossare quelle maglie e un orgoglio vincere la Serie B con entrambi i club. Forse nei due anni all’Hellas sono riuscito a dare qualcosa in più, sono stato anche capocannoniere con 24 gol, mi sono espresso un po’ meglio. In rossoblù ho invece trascorso una sola stagione ma molto intensa, e quando me ne sono dovuto andare non l’ho presa bene, perché Bologna è una città in cui tutti vorrebbero restare almeno dieci anni, dopo averla conosciuta».
Col senno di poi, visti alcuni attaccanti che sono passati da qui, ci potevi stare tranquillamente anche tu… «Ma il calcio è cambiato, non è più quello di dieci-quindici anni fa. Purtroppo oggi la verità è che si arriva spesso in A senza meritarselo pienamente, per strade che ormai il mondo del pallone sta percorrendo sempre di più. Ma penso anche alla C, dove non gioca chi è forte ma si schierano soprattutto giovani, talvolta non pronti, per prendere i contributi della Lega Pro e sopravvivere».
Momento flashback: continuo a pensare che senza il tuo gol del 2-2 all’Avellino, al primo pallone toccato, quella semifinale playoff del 2015 sarebbe finita male, ancor prima della traversa di Castaldo… «Probabilmente sì perché alla fine perdemmo 3-2 e passammo il turno, mentre col doppio gol di scarto sarebbero passati loro. Ricordo benissimo il momento in cui Delio Rossi mi mandò in campo, ero molto carico anche perché arrivavo da un periodo in cui avevo avuto poche chance di giocare. Fu un gol importante ma anche bello, complice l’errore del portiere, dentro un’atmosfera da brividi grazie ai 23 mila del Dall’Ara. A parlarne oggi mi viene un po’ di tristezza…».
Torniamo allora al presente: sabato pomeriggio, da doppio ex, come la vedi? «Sarà una bellissima partita. Fra le due, al momento, vedo un tantino avanti il Verona, non per forza della rosa nel totale ma perché ha ingranato in una maniera invidiabile, gli riesce tutto, giocano a memoria e sono difficilissimi da affrontare. Però il Bologna è tosto, come il suo allenatore, gioca un buon calcio e credo che la sua forza sia il collettivo, non c’è un elemento che si staglia nettamente sugli altri. A parte Palacio, che è unico, non salta mai una partita e a quasi 39 anni riesce ancora a garantire sia la qualità che la quantità».
Dopo sei anni di gestione, il Bologna di Saputo te lo saresti aspettato più in alto? Magari proprio al posto dell’Hellas… «Per come avevo conosciuto il presidente quand’è arrivato, vedendo come si era presentata la società, si poteva pensare a qualcosa in più. Non che di cose non ne siano state fatte, anzi, tanto di cappello, è che purtroppo gli investimenti non sono sempre garanzia di risultati sul campo. In tutta sincerità sì, dopo sei anni mi sarei aspettato un Bologna competitivo per obiettivi più importanti della salvezza o del centro-classifica».
Mihajlovic chiede a gran voce un finalizzatore e la società sta provando ad accontentarlo: se fossi tu il d.s. su chi punteresti? «Nel mio mercato ideale prenderei sempre e comunque ‘Ciccio’ Caputo, di cui abbiamo parlato prima, perché sarebbe perfetto anche per il gioco di Mihajlovic. Ma ovviamente il Sassuolo non se ne priverà mai. Parlando di nomi realistici e che sto leggendo, a me piace Sanabria, mi piaceva già nel Genoa. Credo abbia un potenziale importante, non ancora pienamente espresso, e caratteristiche adatte al Bologna attuale. Si parla di lui già da diverso tempo ma ha solo 24 anni, e in rossoblù potrebbe esplodere una volta per tutte».
Simone Minghinelli
© Riproduzione Riservata
Foto: Imago Images