Guidolin: “Il Bologna di Motta principale outsider per l’Europa, il 5 maggio 2002 una ferita aperta. Contatti coi rossoblù dopo lo Swansea, ma avevo già deciso di smettere”
I dieci risultati utili di fila in campionato, ultimo dei quali la vittoria casalinga di venerdì scorso sulla Lazio, hanno prodotto una classifica da vertigini a cui il Bologna non era abituato da parecchio tempo. L’ultima squadra capace di costruire una stagione all’insegna della rincorsa europea, infatti, fu quella del 2001-2002 allenata da Francesco Guidolin, che chiuse al settimo posto fra mille rimpianti. Oggi abbiamo chiacchierato proprio col tecnico nativo di Castelfranco Veneto, 148 panchine in rossoblù dal 1999 al 2003, per ripercorrere quegli anni magici e analizzare il momento magico del gruppo di Thiago Motta, atteso domenica dal derby dell’Appennino contro la Fiorentina.
Mister, è un piacere ritrovarla. La sua ultima esperienza in panchina risale al 2016: le manca il mondo del calcio? «Sono orgoglioso di aver chiuso la mia esperienza da allenatore in Premier League, campionato in cui tutti vorrebbero andare a lavorare: è stata una bellissima esperienza che mi ha reso felice, con anche dei buoni risultati. Certo mi manca un po’ il campo, sento ancora la giusta energia per poter stare in mezzo ai ragazzi e fare quel che ho fatto per tantissimi anni, però ho deciso così e non torno indietro: ho detto un sacco di no che mi sono indubbiamente costati, ma ritenevo fosse il momento di fermarsi. Inoltre sono diventato nonno di due piccoli nipotini che abitano a Londra, e se voglio vivere la loro crescita devo essere libero di poterlo fare quando voglio».
Nel recente passato si sono mai creati i presupposti per sedersi di nuovo sulla panchina rossoblù? «Sì, c’è stata una richiesta una volta rientrato dal Galles, tra le varie chiacchierate fatte in quel periodo una è andata in scena col Bologna (fra il 2018 e il 2019 il nome di Guidolin circolò prima per la sostituzione di Donadoni e poi per quella di Inzaghi, ndr). Devo dire che il calcio italiano è stato riconoscente nei miei confronti, in molti non credevano che mi sarei fermato per sempre, invece alla fine quell’idea ha prevalso».
Qualche volta torna sotto le Due Torri? Quali ricordi conserva di quel periodo? «È tanto tempo che non ci vengo, passo in zona per altri motivi ma è da un po’ che non mi fermo. A Bologna ho trascorso cinque anni splendidi, e dico cinque perché dopo che ho dato le dimissioni e sono poi andato al Palermo la mia famiglia ha continuato a viverci e i miei figli hanno proseguito il percorso scolastico in città, quindi li raggiungevo spesso».
Ripensa mai a quel maledetto 5 maggio 2002? «Quel 5 maggio rappresenta, assieme al ‘cucchiaino’ di Maicosuel contro il Braga che ha tolto all’Udinese la possibilità di entrare nei gironi di Champions League, la mia più cocente delusione in una carriera che credo sia stata molto buona: sono ferite ancora aperte. Sarebbe bastato anche solo un pareggio dell’Inter contro la Lazio per assicurarci almeno l’accesso in Coppa UEFA… Comunque siamo andati in Europa con quel settimo posto, che oggi vale la Conference League e ai tempi voleva dire Intertoto: non credo esista un allenatore tuttora in pista capace di portare quattro squadre diverse, non top club, in Europa (Vicenza, Bologna, Palermo e Udinese, ndr)».
Oggi il BFC occupa posizioni che ricordano appunto i suoi tempi: la squadra attuale ha i mezzi per un posto al sole o il gap da colmare è ancora troppo ampio? «Ad un club che non è di prima fascia, che però ha lavorato con intelligenza e programmazione, serve l’annata perfetta per entrare nelle prime sei-sette, bisogna lasciarsi alle spalle qualche big. A mio avviso il Bologna può farcela perché ha una rosa competitiva e un ottimo allenatore, mi piace come lavora Motta: vedo le qualità e l’entusiasmo per poter scrivere una pagina importante già in quest’annata, considero i rossoblù la principale outsider per le zone nobili della classifica».
Se le dico che Motta ci ricorda un po’ lei, nell’approccio, nei toni, nella conoscenza calcistica, persino quando in tuta si accuccia davanti alla panchina scrutando il campo, cosa mi risponde? «Mi piace questo accostamento: Motta lo ricordo come un giocatore dalla grandissima intelligenza che avrà sicuramente trasferito nel suo lavoro da allenatore, ben diverso da quello di calciatore. Dunque è una similitudine che non può che farmi piacere, spero piaccia anche a lui… A patto che (lo dice scherzando, ndr) non mi si venga a dire che il record del Bologna nell’era dei tre punti a vittoria è quello della scorsa stagione, avendo avuto io 34 gare a disposizione nel campionato 2001/02 mentre oggi sono 38».
Cosa apprezza e cosa la convince in particolare della proposta calcistica di Thiago? «Si tratta di un allenatore giovane e dunque in costante evoluzione. Nel corso della mia carriera, per esempio, ho optato per alcuni cambiamenti tecnico-tattici di rilievo, perché non bisogna mai fossilizzarsi. Vedo il calcio di Motta come ragionato ma anche intenso e aggressivo, del resto oggi lo spazio per andare piano è poco, bisogna sempre accelerare. Il possesso palla non mi sembra esasperato né fine a se stesso, e soprattutto mi pare stia utilizzando i giocatori nelle posizioni idonee per farli rendere al meglio, non una cosa scontata».
Lei ha guidato diverse squadre underdog capaci di ergersi a protagoniste: come si tiene sul pezzo il gruppo nei momenti di euforia? «In realtà non è cosi difficile tenere sul pezzo una squadra non abituata a stare nei piani alti della classifica, io l’ho sempre visto come uno stimolo che lo spogliatoio deve avvertire e su cui un allenatore deve premere, giocando sull’aspetto psicologico di essere davanti alle grandi. Tutto ciò dona impulsi straordinari che un tecnico ha il dovere di cavalcare nella maniera giusta: l’entusiasmo va assecondato e non temuto, mantenendo però la giusta concentrazione ogni giorno».
Può aver senso un parallelo Zirkzee-Cruz? Diversi sì, ma entrambi con tanta classe e capaci di far giocare bene la squadra, di segnare e far segnare… «Io posso parlare nello specifico per Julio perché siamo stati bene assieme, nel mio Bologna si è rivelato un giocatore straordinario quando ha capito pienamente ciò che volevamo da lui. Zirkzee l’ho ovviamente visto all’opera e mi ha dato l’idea di poter diventare un centravanti davvero importante, di caratura notevole: l’augurio è che possa ripercorrere le orme di Cruz e magari anche superarlo».
Per concludere, che sensazioni ha su Fiorentina-Bologna? Un derby dell’Appennino che torna a profumare d’Europa, fermo restando che siamo lontanissimi dal periodo dei verdetti. «Prevedo una gara spettacolare fra due formazioni che giocano bene e in qualche modo si somigliano: sia i rossoblù che i viola vanno sempre in campo per comandare e vincere, ci mettono qualità ed entusiasmo, e sono guidate da tecnici di valore. Negli ultimi anni non è capitato spesso che entrambe giocassero per la zona europea, e la Fiorentina è una di quelle squadre che se vuoi arrivare lontano devi provare a lasciarti dietro. Ma non sarà facile, perché lo stesso ragionamento adesso lo fanno a Firenze guardando al Bologna…».
Riccardo Rimondi
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