Per Luigi Lavecchia, dal 2007 al 2010, solo 31 presenze con la maglia del Bologna, lasciando però in dote una promozione dalla B alla A, insieme al gruppo guidato da Daniele Arrigoni, e un buonissimo ricordo sul piano sia umano che calcistico. Malgrado i tanti infortuni, purtroppo una costante nella sua promettente ma sfortunata carriera cominciata, da torinese di nascita, nel settore giovanile della Juventus. Oggi 41enne e rientrato a Cagliari (dove aveva già guidato diverse Under) dopo due stagioni da allenatore in seconda dell’Olbia, ‘Gigi’ lavora per la Football Academy e il Centro di Formazione del club sardo, fresco di ritorno nel massimo campionato grazie all’ottimo lavoro svolto da Claudio Ranieri. Ranieri che lo scorso settembre poteva prendere il posto dell’esonerato Mihajlovic, tecnico di Lavecchia tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009. Poi Sinisa è stato sostituito da Thiago Motta e il resto, fino al nono posto finale conquistato dai felsinei, è storia recente. Tanti intrecci di calcio e di vita che oggi, insieme all’ex numero 74 rossoblù (numero non casuale, dedicato al gruppo ultras Vecchia Guardia), abbiamo ripercorso tra passato, presente e futuro.
Gigi, cos’hai pensato al momento del gol di Pavoletti? «Beh, fantastico! Anche perché Leonardo è un amico e come si dice, gallina ‘vecchia’ fa buon brodo (ride, ndr): quando c’è da segnare un gol pesante, lui risponde sempre presente. Dopo la gara d’andata non ero troppo ottimista, non tanto per la pressione del San Nicola, a cui molti giocatori del Cagliari potevano essere abituati avendo già giocato nei grandi stadi della Serie A, quanto per la forza del Bari, che all’Unipol Domus mi aveva fatto un’ottima impressione. Mi verrebbe da esclamare: Ranieri santo subito! Lui e i ragazzi sono stati eccezionali, davvero».
Molto belle e significative, al fischio finale, le lacrime del mister… «Lo sfogo autentico di un grande uomo, prima ancora che di un grande allenatore, cosa che gli viene giustamente riconosciuta pressoché all’unanimità: Ranieri merita un 10 e lode sia in panchina che nella vita. Mi fa tanto piacere per lui, un esempio da osservare e seguire ogni giorno, e anche per il presidente Giulini, con cui ho un ottimo rapporto».
Raccontaci un po’ di te, tornato a lavorare per il Cagliari dopo un’esperienza all’Olbia: di cosa ti occupi? «L’anno scorso Max Canzi, di cui ero il vice all’Olbia, è passato al Pontedera, e io per problemi personali non ho potuto seguirlo fuori dalla Sardegna. Così ho accettato la proposta del Cagliari di entrare nell’Academy come talent scout, diciamo così, e istruttore: lavoro con bambini e ragazzi dai 10 ai 13 anni, occupandomi della zona del centro-nord, inoltre collaboro col Centro di Formazione del club che ha sede ad Alghero».
In futuro ti vedi di nuovo alla guida di una Prima Squadra? «Ora sono focalizzato sul calcio giovanile, quindi studio quell’ambito e guardo più alla formazione del giocatore che alle strategie di gara, e poi amo stare in mezzo ai bambini: è un lavoro totalmente diverso ma ugualmente appagante, forse anche di più. Mi piace l’idea di poter crescere talenti e fornirli al settore giovanile del Cagliari, continuando poi a seguirli nelle varie Under con l’auspicio che il lavoro mio e dei miei colleghi dia dei buoni frutti. Ma lo scopo primario di questo progetto, a mio avviso interessantissimo, è dare a tutti i giovani dell’isola la possibilità di giocare a pallone, senza lasciare indietro nessuno».
Il Bologna lo segui ancora? L’exploit di Motta ti ha sorpreso? «Anche alla luce del lungo infortunio di Arnautovic mi aspettavo una salvezza tranquilla o poco di più, invece la squadra ha compiuto un cammino fantastico, arrivando a ridosso della zona coppe grazie ad un ottimo calcio e facendo segnare il record di punti da quanto la vittoria ne vale tre. Lo ammetto, non ci avrei scommesso. La rosa si è rivelata migliore di quello che magari si poteva pensare all’inizio, e Motta ha dimostrato di avere idee interessanti e coraggio da vendere, azzeccando la maggior parte delle mosse: veramente bravo, tanto di cappello».
Dalla Francia altre voci sul PSG: a Thiago consiglieresti di rischiare il grande salto o di proseguire la sua crescita sotto le Due Torri? «Da simpatizzante del Bologna ed ex calciatore rossoblù sono di parte, però penso davvero che ora come ora si tratterebbe di uno scalino troppo alto per un tecnico che di fatto ha iniziato ieri la sua carriera. Certo, a Parigi lo conoscono bene e almeno all’inizio potrebbero tutelarlo e proteggerlo, ma se lo conoscessi gli direi: resta almeno un altro anno a Bologna, fai tutto il possibile per portare la squadra in Europa, in futuro non avrai problemi a sederti sulla panchina di un top club».
Sono tanti i giocatori rossoblù ad essersi messi in mostra: nei limiti del possibile, a quali di questi non rinunceresti mai? «Sono tanti sì: Arnautovic, Dominguez, Ferguson, Lucumí, Orsolini, Posch, Schouten… Difficile restringere la lista, magari guardando proprio al cuore della formazione potrei buttare lì i nomi di Dominguez e Schouten, poi però penso allo strapotere di Arnautovic, ai gol di Orsolini che se rinnovasse potrebbe diventare quasi una bandiera… È superfluo sottolineare come nel mercato comandino i soldi, quindi molto dipenderà dalle offerte che arriveranno: la società saprà dove conviene capitalizzare, e peraltro anche grazie all’innesto di Sartori ha già dimostrato di saper sostituire adeguatamente i pezzi pregiati finiti altrove»
Visto che l’hai citato: riguardo alla permanenza o meno di Arnautovic, la tua posizione sembra chiara. «Se il Milan si fosse fatto sotto concretamente, avrei capito un’eventuale apertura da parte del club, dando al ragazzo la possibilità di prendere l’ultimo treno per disputare la Champions League e magari giocarsi lo scudetto. Ma considerando che la pista rossonera si è raffreddata, io non me ne priverei mai e poi mai. Per usare un gioco di parole: uno come Arnautovic non lo ‘sbolognerei’ facilmente (ride, ndr)».
Tua sensazione: il Bologna di Saputo lo vedremo mai giocare in Europa? «Date le vicende che hanno coinvolto la Juventus, ci ho sperato già quest’anno, poi l’ottavo posto è sfumato ma ciò non toglie nulla alla splendida stagione dei rossoblù. In generale credo che al giorno d’oggi sia difficilissimo scalzare una delle cosiddette ‘sette sorelle’, in primis per ragioni economiche. Ci era riuscita nello scorso campionato la Fiorentina, approfittando di qualche passo falso dell’Atalanta, ma non va mai dimenticato che i viola con Commisso partivano da una situazione ben diversa da quella ereditata da Saputo. Tutto comunque dipende dalla società, dall’effettiva volontà di provare quantomeno a ridurre il gap: per me con Motta, Arnautovic e un bel gruppo di giocatori, senza depauperare troppo l’organico, i margini per crescere ancora ci sono».
Come hai preso la notizia della scomparsa di Mihajlovic? L’ultima volta che ci eravamo sentiti, a novembre del 2020, Sinisa era in netta ripresa… «Io credo di essere stato uno dei giocatori più ‘piccoli’, inteso come valore, che il mister ha allenato, però appunto un rapporto diretto con lui l’ho avuto e ricordo quei mesi con grande piacere e orgoglio. Quando ho saputo della ricomparsa della leucemia ho pensato subito al peggio, ma conoscendo la sua tempra ho sperato fino all’ultimo che potesse avere di nuovo la meglio sulla malattia. Provo un enorme dispiacere per l’uomo e la sua famiglia, ma anche per l’icona calcistica che era: non doveva andare così».
Concludiamo con un saluto ai tifosi del BFC, che quella cavalcata verso la Serie A nel 2007-2008 non la dimenticano… «Innanzitutto voglio rivolgere un pensiero a tutti gli emiliano-romagnoli coinvolti nella tremenda alluvione del mese scorso: non ci sono parole, solo un forte abbraccio. Riguardo a Bologna cosa posso dire? Una piazza meravigliosa che ti mette a tuo agio, ti rispetta in ogni circostanza, ti fa sentire importante. Mi ci sono trovato benissimo e spero di poterci tornare presto per assistere al match contro il Cagliari, per poi concludere con birra e crescentine (ride, ndr). Sotto le Due Torri ho ancora parecchi amici, anche tra voi giornalisti: qualche volta mi avete punzecchiato per i troppi infortuni, e devo ammettere che avevate ragione (ride, ndr), però la maglia l’ho sempre onorata. Ecco, io credo che il Bologna debba essere considerato un punto d’arrivo, non di partenza. Specialmente oggi, con questo presidente, questo direttore tecnico e questo allenatore. Lo tengano a mente quelli che magari stanno pensando di cambiare aria…».
Simone Minghinelli
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