Lavecchia: “La Serie A, Sinisa, il Civ, il numero 74 e quel vinile degli Stones, a Bologna troppi infortuni ma anche tanti bei ricordi. Ora alleno e il mio presente si chiama Olbia”
I traguardi importanti, nel calcio ma più in generale nello sport, non si raggiungono solo con i giocatori di qualità, ma anche grazie all’apporto dei cosiddetti ‘gregari’, figure a dir poco fondamentali dentro e fuori dal campo. Luigi Lavecchia, classe 1981 da Torino, può rientrare in questa categoria, ma se i guai fisici gli avessero dato tregua sarebbe stato molto di più, tra una progressione sulla fascia e un cross al bacio una volta arrivato sul fondo. Se non altro a Bologna, almeno finché i troppi infortuni non l’hanno costretto ad un prematuro ritiro, abbiamo visto all’opera la sua miglior versione, quella che ha contribuito in maniera sostanziosa alla promozione in Serie A nella stagione 2007-2008. Da sette anni ‘Gigi’, che sotto le Due Torri ha anche incrociato l’allora esordiente Sinisa Mihajlovic, fa proprio l’allenatore, con l’obiettivo di riprendersi dalla panchina ciò che il suo fisico un po’ troppo fragile gli ha tolto. Oggi è stato un piacere ritrovarlo, e soprattutto sapere che porta sempre nel cuore i colori rossoblù.
Gigi, sette anni fa hai intrapreso il percorso da tecnico, e ora sei il vice di Max Canzi all’Olbia, in Serie C: come procede questo nuovo capitolo della tua carriera? «Allenare mi piace tantissimo, però riconosco le difficoltà del mestiere: molti ex calciatori devono capire che il fatto di aver giocato a buoni o anche alti livelli non garantisce il successo in panchina. Un conto è gestire il pallone tra i piedi, un altro è gestire un intero spogliatoio… La mia grossa fortuna è stata quella di incontrare mister Canzi a Cagliari, insieme abbiamo vinto il campionato di Primavera 2 e si è creato un ottimo rapporto, così mi ha voluto al suo fianco anche in questa nuova avventura a Olbia».
Vi state trovando bene? «Qui c’è grande competenza e organizzazione, la società ci ha accolti in maniera impeccabile e ci ha messo a disposizione un gruppo di ragazzi veramente validi. Finora abbiamo ottenuto meno di quanto avremmo meritato, per risollevarci e tenere alto il morale serve una vittoria, il problema è che a causa del COVID non sappiamo ancora quando e contro chi torneremo a giocare: nello scorso turno la Lucchese ha dato forfait per i troppi positivi, e la stessa cosa potrebbe fare domenica il Como, quindi si slitterebbe a mercoledì prossimo con la Pergolettese. Per adesso svolgiamo allenamenti improntati soprattutto su di noi, poi man mano si vedrà».
Al di là del complesso scenario attuale legato al virus, qual è l’obiettivo stagionale? «Quando un club viene da annate non facili, la prima cosa a cui si deve puntare è una salvezza tranquilla. Prima la raggiungiamo e meglio è, poi magari potremo pensare di fare qualcosa in più».
Un grande talento frenato dagli infortuni: è ancora vivo il rimpianto per aver dovuto smettere di giocare poco dopo i 30 anni? «Per fare il calciatore professionista ci vuole la tecnica, certo, ma anche il fisico, e ad essere sincero io non ne avevo molto, specie a livello di tenuta muscolare. Ormai ho voltato pagina, ma undici-dodici anni fa non ne avrei parlato con la stessa disinvoltura, anzi, ho versato pure qualche lacrima, perché non riuscivo neanche a finire un allenamento: in quei momenti capisci di non poter più essere utile alla causa, e che è meglio smettere piuttosto che renderti ridicolo».
Sotto le Due Torri, nonostante i guai muscolari, hai conquistato da protagonista una promozione in A e partecipato a due salvezze: quando ripensi a quel periodo che sensazioni provi? «Infermeria a parte (ride, ndr), Bologna è stata una delle esperienze più belle che ho vissuto in carriera. Ricordo con piacere il girone di ritorno in Serie B con mister Arrigoni, in cui ho trovato continuità e ho aiutato la squadra a conquistare la promozione, e quello d’andata in A, piuttosto complicato ma in cui comunque mi sono tolto la soddisfazione di scendere in campo da titolare contro Juventus e Lazio. L’intero l’ambiente rossoblù è splendido e assolutamente invidiabile».
E per quei pochi che non lo sapessero, il tuo numero 74 non era casuale… «Il 7, il mio preferito, era già sulle spalle di ‘Cippo’ Cipriani, e così il gruppo ultras Vecchia Guardia mi suggerì di omaggiare il loro anno di nascita, giocando sul mio cognome. Per me fu un piacere farlo, anche perché in generale la tifoseria del Bologna è una tra le più calorose e corrette d’Italia. I calciatori tendono a valutare l’attaccamento soprattutto in base al numero di persone presenti in trasferta, e noi avevamo sempre un seguito pazzesco, indipendentemente dalla categoria».
Sabato sei riuscito a vedere la partita contro il Cagliari? Il Bologna era chiamato a rialzare la testa e lo ha fatto, anche soffrendo ma con pieno merito. «L’ho vista e ho ammirato il solito Bologna, ovvero una squadra che nonostante le numerose assenze gioca bene a calcio e diverte, capace di gestire bene il possesso e di colpire con le fiammate dei suoi singoli: Barrow ha segnato due gol magnifici, Soriano si è confermato il solito punto di riferimento imprescindibile, e anche Orsolini mi è sembrato in netta crescita. Io sposo questo tipo di filosofia, e mi auguro che da qui in avanti i risultati continuino a dar ragione a Mihajlovic. Sia la vittoria di sabato, specie per come è maturata, che quella di martedì in Coppa Italia, sono un toccasana per il morale: domenica al Dall’Ara arriverà un Napoli ferito e in cerca di riscatto, ma il pronostico è tutt’altro che chiuso».
Osservando il recente percorso di alcuni club di fascia media, c’è chi storce il naso dinnanzi a quello dei felsinei, ma non va mai dimenticato che tra la malattia di Sinisa e il lockdown si è praticamente perso un anno. «Esatto, basta ad esempio fare un piccolo parallelo con De Zerbi, che alla terza stagione a Sassuolo è secondo in classifica, un crescendo continuo: la dirigenza ha sposato il suo modo di fare calcio e gli ha comprato le pedine giuste, lui ha sempre lavorato bene e i giocatori hanno ormai incamerato certi automatismi. La stessa cosa stava avvenendo a Bologna, poi per cause di forza maggiore Mihajlovic si è dovuto allontanare da Casteldebole, e non avere ogni giorno il tecnico al campo può rallentare la crescita sia del collettivo che dei singoli, specialmente dei ragazzi più giovani. La società merita tanti complimenti per averlo supportato e aspettato, e sono sicuro che il tempo perduto sarà recuperato con gli interessi».
Osservandolo dall’esterno, quello di oggi ti sembra un Mihajlovic molto diverso rispetto a quello che hai conosciuto nel 2008? «Credo sia sempre lui, ovviamente con più consapevolezza, maturità e magari anche sensibilità, visto quello che ha passato. Sinisa è una persona coerente e un allenatore duro e deciso, senza tanti fronzoli, ma corretto e leale con tutti, dal primo dei senatori all’ultimo dei ragazzini. All’epoca era alla prima esperienza, ma si vedeva già una certa preparazione, frutto evidentemente degli anni trascorsi con Mancini all’Inter, per come sapeva gestire il gruppo non avresti mai detto che si trattava di un esordiente in panchina. È evidente come pure il suo calcio si sia evoluto e guardi costantemente al futuro, grazie anche al supporto di uno staff molto preparato che nella scorsa stagione abbiamo conosciuto bene».
C’è qualche aneddoto particolare sul mister che ci puoi raccontare, per far capire il suo carattere e il suo modo di rapportarsi con la squadra? «Niente di così singolare, almeno in quei mesi, ma ho sempre apprezzato la sua capacità di scindere l’ambito lavorativo dal resto: tosto e serissimo sul campo, persona davvero di compagnia al di fuori. Una volta festeggiò il suo compleanno a Casteldebole con noi giocatori e ci sembrò proprio di avere a che fare con un amico. Infatti quando venne esonerato fu un enorme dispiacere per tutti».
Per concludere, vuoi mandare un messaggio ai tifosi rossoblù? «Li ricordo veramente con affetto, a cominciare dalla Vecchia Guardia ma non solo. Una volta alcuni tifosi del settore Distinti, conoscendo la mia passione per la musica rock, mi regalarono un vinile dei Rolling Stones, fu un gesto bellissimo. Pubblico eccezionale quello di Bologna, davvero… Ne approfitto per salutare anche tutti i giornalisti, e sapendo che oggi ricorre un anno dalla sua scomparsa mando un abbraccio al Civ, ovunque sia».
Il mitico Civ era un giornalista e un personaggio decisamente rock. E visto che siamo entrati in argomento, che ne dici di dedicare un pezzo al Bologna e a Sinisa? «Scelgo Live Is Life degli Opus. Un brano spensierato, un inno alla vita, all’energia, al coraggio, al dare tutto senza risparmiarsi mai. È la mentalità di Mihajlovic, quella emersa anche nella sua battaglia personale, la stessa che sta cercando di infondere sempre di più nei suoi ragazzi. E mi pare che ci stia riuscendo».
Simone Minghinelli
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