Una carriera costruita su dedizione, sacrificio, umiltà e cultura del lavoro, non tirandosi mai indietro neanche di fronte alle sfide apparentemente più complicate. Tutto questo ha contraddistinto la ventennale traiettoria da giocatore di Domenico ‘Mimmo’ Maietta, il cui destino ha incrociato quello del Bologna nell’estate 2014: durante le tre stagioni e mezzo sotto le Due Torri l’emozione del ritorno in Serie A nel 2015 e tante battaglie coi colori rossoblù addosso, anche nelle vesti di capitano. Ogni volta è una bellissima opportunità intervistare un Professionista con la P maiuscola, oltre che una persona splendida, sempre disponibile e che trasuda passione calcistica da ogni poro. Perché, nonostante il successo, lui resta «un uomo di popolo», come ama definirsi. E non facciamo fatica a credergli, visto l’ottimo ricordo lasciato ovunque sia andato.
Mimmo, quale ruolo ricopri dopo la lunga carriera da calciatore? So che l’anno scorso hai conseguito il diploma da direttore sportivo in quel di Coverciano… «Dopo aver ottenuto il patentino da d.s. mi sono preso un anno sabbatico. Adesso collaboro col procuratore Silvio Pagliari, mi ha contattato per entrare a far parte della sua scuderia e lavorare insieme a lui: è un qualcosa che sento mio e che mi piace, lo faccio con dedizione e passione. Essendo stato a lungo sul campo so bene cosa vogliono i calciatori dai propri agenti, ovvero figure e non numeri: i ragazzi hanno bisogno di essere seguiti, sostenuti e tutelati».
Come valuti l’operato dell’area tecnica del Bologna? Ti piace questa rosa composta da elementi esperti e giovani in rampa di lancio? «Il mix è ottimo perché i veterani hanno ancora tanto da dare al calcio e ai giocatori più giovani: la loro presenza conferisce a questi ultimi maggiore serenità e tranquillità nei momenti difficili, e più in generale di esprimersi al massimo delle proprie potenzialità. L’operato di Sartori nei suoi primi mesi a Casteldebole è positivo: un direttore non ha la bacchetta magica ma ha bisogno di tempo per incidere, e lui un po’ alla volta sta cercando di allestire il suo Bologna».
Segui ancora le vicende dei rossoblù? Può essere la stagione giusta per condurre un campionato da parte sinistra della classifica? «Guardo spesso il Bologna e devo dire che, se rapportato con le squadre del suo livello e anche con alcune che la precedono, ha mezzi e valori per stare a sinistra. La rosa è completa e c’è un potenziale notevole, ma la crescita passa anche da una certa mentalità. Ad esempio, l’anno in cui l’Atalanta arriva per la prima volta in Europa non parte bene, Gasperini rischia la panchina contro il Crotone ma da lì svolta grazie al lavoro e appunto alla mentalità, approcciando le gare con una cattiveria unica: squadra alta, aggressiva, con tanta gamba e senza timore di accettare l’uno contro uno in giro per il campo».
Cosa non ha funzionato nell’ultima fase della gestione Mihajlovic, al punto da doverlo esonerare? «Il suo ciclo sembrava ormai terminato, perché anche nello scorso girone di ritorno i rossoblù avevano faticato. A mio avviso è una decisione che andava presa già in estate, affidando la squadra ad un altro allenatore. Ma è pur vero che il Bologna si è comportato bene: la società poteva aspettarsi che Sinisa facesse un passo indietro, stanti le sue condizioni di salute, ciò non è avvenuto e allora ha cercato di dargli ulteriore fiducia finché ha potuto. Nelle prime giornate di questo campionato le cose non hanno funzionato a livello sia di prestazioni che di risultati, e a quel punto l’esonero era pressoché inevitabile».
Qual è invece il tuo giudizio sul primo mese targato Thiago Motta? «Motta aveva già fatto molto bene a La Spezia, ottenendo una salvezza insperata: ho avuto modo di discuterne con Provedel e Nikolaou, miei ex compagni all’Empoli, e me ne hanno parlato davvero bene. Thiago ha riportato serenità ed entusiasmo e la gara contro il Sassuolo è stata emblematica, rialzando subito la testa dopo l’inciampo di Milano sponda Inter, match a cui i rossoblù erano arrivati con quattro vittorie di fila. Ci voleva un po’ di rodaggio, il mister ha fatto tante scelte coraggiose ma si è guadagnato la fiducia di tutti i giocatori e adesso sta raccogliendo i frutti. Un esempio? Orsolini ora subentra ed è un colpo in canna, prima era intimorito anch solo nel rischiare la giocata»
Nell’attuale difesa del BFC, composta da diversi volti nuovi, ci vedi un Maietta? E quale singolo apprezzi maggiormente? «Ci sono giocatori con caratteristiche completamente diverse dalle mie, io ero un difensore che si basava più sulla velocità e sulla forza esplosiva, mentre l’attuale retroguardia è composta da elementi di struttura, forti sull’uomo e che cercano di muovere la palla secondo i dettami dell’allenatore. Lucumí non mi dispiace affatto, è un giocatore interessante e bello da vedere in campo. E apprezzavo un sacco Medel quando veniva schierato lì nel mezzo, per la sua aggressività e l’interpretazione che dava al ruolo, svolto alla grande pur non essendo altissimo».
La lunga sosta dovuta ai Mondiali rappresenta più un’opportunità utile a Motta per lavorare o un fastidio, avendo interrotto un ottimo momento di forma? «Non la vedo come qualcosa di negativo, anzi. Durante questa pausa Motta potrà allenare ancora meglio la squadra e darle a pieno la sua impronta, perché bisogna ricordarsi che sostituire un allenatore in corsa non è mai facile. Tra novembre e dicembre Thiago avrà modo di far capire bene ai giocatori cosa desidera da loro in campo, trattandosi in buona sostanza della sua prima preparazione da tecnico del Bologna, seppure sia da svolgere a metà stagione».
La lotta salvezza vede coinvolta una tua ex squadra, il Verona: è già tutto scritto o ritieni che le ultime tre possano ancora ribaltare la situazione? «Il discorso salvezza in Serie A è sempre aperto: il Cagliari 2007/08, per esempio, chiuse da fanalino di coda il girone d’andata ma poi si salvò, e in tempi più recenti realtà come Crotone e Salernitana hanno avuto la forza di ribaltare un destino che sembrava segnato. Dispiace vedere due club di blasone come Hellas e Sampdoria nei bassifondi della classifica, ma la lotta è ancora lunga: nonostante queste squadre presentino delle problematiche importanti, è troppo presto per considerarle spacciate».
Dopo 33 anni lo scudetto tornerà davvero al sud e al Napoli? Quale ritieni possa essere la principale antagonista dei partenopei? «Da meridionale mi auguro che lo scudetto torni a Napoli. Fin qui il percorso della squadra di Spalletti è stato splendido sia in campionato che in Champions League, la rosa è profondissima e di fatto annovera in panchina un altro undici equivalente o quasi a quello titolare. Attenzione però alla Juventus, rinata nelle ultime settimane e ora al terzo posto: coi rientri dei vari Chiesa, Di Maria e Pogba nella seconda parte di stagione, uniti alla giusta mentalità, i bianconeri possono ambire alla vittoria finale, senza dimenticare il Milan secondo e campione d’Italia in carica».
Bologna conserva un ricordo indelebile di Maietta, capace di conquistare fin da subito il cuore dei tifosi: quanto è ancora forte il legame tra te e la piazza rossoblù? «Il mio legame con Bologna è qualcosa di speciale, anche quando mi sono trasferito a Empoli sentivo addosso la maglia, la città, la passione, ciò che ho fatto e che ho dato al club durante la mia avventura lì. Nell’estate del 2014 decisi di lasciare la Serie A e i due anni di contratto rimanenti con l’Hellas, conscio di dovermi rimboccare le maniche in una situazione societaria difficile per riconquistare il massimo campionato: tutto questo l’ho fatto perché Bologna è il calcio, è una città dove si vive benissimo con una squadra che merita di stare il più in alto possibile. Sapevo a cosa andavo incontro, è bastato un pranzo con Filippo Fusco per accettare questa scommessa e poi lavorare sodo per portarla a compimento. Ho sempre sentito forte l’affetto dei fantastici tifosi rossoblù e di pari passo l’aumento delle responsabilità, ma quelle non mi hanno mai spaventato e per una realtà del genere ho dato tutto me stesso finché ho potuto».
Riccardo Rimondi
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