Impegno, serietà, grinta, coraggio, attaccamento alla maglia. Sono solo alcuni dei valori che contraddistinguono Domenico Maietta, per tutti ‘Mimmo’, persona splendida e difensore troppo spesso sottovalutato. Non a Bologna, dove è arrivato nel 2014 si è subito eretto a colonna portante del gruppo, diventando un beniamino dei tifosi a suon di grandi prestazioni. Dalla Serie B senza un futuro fino al rilancio del club sotto la gestione di Joey Saputo, sempre con la stessa voglia e lo stesso amore per i colori rossoblù, quattro anni intesi che hanno forgiato un legame speciale. Maietta sotto le Due Torri può essere raccontato attraverso 96 presenze da leader e trascinatore, ma anche e soprattutto con l’immagine di una mano sul petto sotto la Curva Andrea Costa, dopo ogni partita. Classe 1982, reduce da due campionati e mezzo a Empoli, in questi ultimi mesi Mimmo ha maturato la decisione di lasciare il calcio, e noi oggi lo abbiamo contattato per carpire le sue emozioni, ripercorrere la sua carriera e guardare al domani. Senza dimenticare la sua squadra del cuore…
E così Mimmo, dopo più di 500 partite ufficiali, finisce qui? «Eh sì, a malincuore ho preso questa decisione ma l’ho fatto in autonomia, senza aspettare che qualcun altro me lo dicesse. L’avevo già annunciato durante l’anno al club e ai compagni di squadra, sentivo che era arrivato il momento di staccare».
Peccato non aver chiuso riportando in A l’Empoli, per te sarebbe stata la quinta promozione… «Vero, dopo le due col Verona, quella col Bologna e la prima qui a Empoli nel 2018. È stata un’annata particolare, un po’ maledetta, con tre allenatori, ma fino alla fine ci speravo. Ai playoff siamo usciti sbagliando due rigori (contro il Chievo, ndr), ma a mio avviso il campionato ce lo siamo ‘mangiati’ prima, lasciando per strada troppi punti in gare decisive».
Qual è la cosa più bella che ti ha dato il calcio? «Tra le tante, direi le emozioni: l’emozione di vincere un campionato, di fare o di evitare un gol, di dedicare una prestazione importante e così via. L’ambiente del calcio avrà pure i suoi difetti, ma da questo punto di vista credo sia unico e impareggiabile».
Di contro, non pensi di essere stato un po’ troppo sottovalutato durante la tua carriera? «Mah, prendo atto di quello che dicono gli altri (ride, ndr). Diciamo che ho fatto comunque un bel percorso, non mi piace guardare indietro, arrovellarmi e pensare che qualcuno mi abbia levato qualcosa, sono contento così. In Serie A ci sono arrivato tardi ma, come si dice, meglio tardi che mai».
La soddisfazione e il rimpianto più grande. «Rimpianti no, perché come detto ho esordito a 31 anni in A (24 agosto 2013, Verona-Milan 2-1, ndr) ma ho poi giocato 101 partite, quindi sono soddisfatto. Sai, quando con la squadra stecchi certi traguardi è normale ci sia dispiacere e delusione, però io ero uno che in campo dava l’anima e quindi difficilmente avevo rimpianti: le poche volte che sentivo di non aver dato tutto non ci dormivo la notte (ride, ndr). Invece soddisfazioni tante, difficile indicarne una in particolare, ai primi posti metto ovviamente le vittorie dei campionati e gli ostacoli superati. Come a Bologna, quando non c’era la società e siamo stati quattro mesi senza stipendio, eppure…».
A tal proposito, senza voler fare classifiche o confronti con altre piazze, perché Bologna è stata così speciale per te? «Intanto perché ho firmato nonostante il club fosse in grave difficoltà, e avevo ancora due anni di contratto a Verona, solo un pazzo poteva fare una scelta del genere (ride, ndr). Fu una scommessa mia e del direttore Fusco, e poi sinceramente la piazza di Bologna rappresentava per me un richiamo importante e bellissimo, un onore. Ho cercato fin da subito di dare il massimo e via via si è creata una sinergia unica col pubblico: dai tifosi ho sempre ricevuto una pressione positiva, un mix di sensazioni che mi hanno portato a sentire sempre più mie sia la maglia che la città. Per questo a volte ho stretto i denti e giocato pure in condizioni precarie, sempre con voglia e felicità. Quando sono andato via è stata una pugnalata al cuore, anche perché a Bologna ci vivo: io e mia moglie la adoriamo e mio cognato è un grande tifoso, quando arrivai in rossoblù era al settimo cielo (ride, ndr)».
Hai avuto modo di seguire la squadra negli ultimi tempi? Una stagione davvero incredibile, quella che si è appena conclusa… «Certo, la seguo e mi tengo sempre aggiornato. Al Bologna sono bravi, c’è una società sana fatta di persone umane, cosa non facile da trovare nel mondo del calcio, la vicinanza a Sinisa in un momento così delicato è stata una grande dimostrazione in tal senso. E poi i giocatori, che si sono ritrovati senza il loro comandante ma non hanno mai mollato, mantenendo un atteggiamento impeccabile: qualcuno, specialmente i più giovani, avrebbe potuto approfittarne e fare casino, invece sono stati esemplari. Nonostante tutte le difficoltà si poteva puntare a qualcosa in più, perché prima del lockdown il rendimento era ottimo, poi la lunga pausa ha scombussolato tutto e le partite ogni tre giorni hanno finito col favorire i club con la rosa più lunga».
La mentalità e il gioco di Mihajlovic, uniti alla crescita dei giovani talenti e a qualche innesto mirato, possono già rappresentare la ricetta giusta per puntare all’Europa? «Io me lo auguro e credo che quantomeno a ridosso delle prime sette il Bologna ci possa stare, a quel punto sono i dettagli e anche un po’ di fortuna a fare la differenza. Il mix attuale, con tanti giovani di talento e qualche giocatore più esperto, è valido e interessante: non servono stravolgimenti ma due-tre innesti mirati, infatti mi pare che la società si stia muovendo proprio in tal senso sul mercato. De Silvestri, ad esempio, è un’operazione intelligente, perché conosce come le sue tasche la categoria e anche gli schemi di Mihajlovic, avendolo già avuto. La cosa più importante è andare sempre in crescendo: un passo alla volta con Saputo l’Europa arriverà, sia lui che la piazza meritano quel tipo di palcoscenico».
A tuo avviso cosa va aggiustato in difesa per subire meno gol? «Più che del singolo e degli errori individuali, che purtroppo possono capitare, preferisco parlare di fase difensiva, e devo dire che secondo me veniva fatta abbastanza bene. Però il Bologna di oggi è molto più predisposto ad offendere, e talvolta ci sta di ritrovarsi scoperti o magari meno lucidi. Man mano che i giovani cresceranno e in generale tutti si abitueranno al tipo di calcio di Sinisa e ai suoi ritmi, le cose miglioreranno e dietro si soffrirà meno. La strada imboccata mi piace perché ci consente di ammirare una squadra bella, propositiva, che diverte e affronta tutti a viso aperto anche fuori casa, che se anche va in affanno non si arrocca dietro ma cerca comunque di venirne fuori attraverso il gioco: non è roba da poco».
C’è o può esserci un Mimmo Maietta nel Bologna di oggi? «Ogni difensore ha le sue peculiarità e gli accostamenti sono sempre difficili: io ero più esplosivo e tecnico, c’è invece chi è più forte fisicamente oppure più veloce, nell’organico attuale ci sono elementi validi ma proprio con le mie caratteristiche non ne trovo. Ecco, diciamo che sono curioso di vedere Tomiyasu da centrale, se effettivamente verrà spostato in quella posizione, perché da terzino mi ha fatto un’ottima impressione. È un giocatore dinamico, applicato, ha piede, riesce a dare sicurezza nonostante la giovanissima età, credo sia stato la più grande rivelazione dello scorso campionato».
Da ora in avanti in quale veste ti vedremo? «L’Empoli mi ha dato la possibilità di affiancare il d.s. Pietro Accardi e li ringrazio: per me è una bella cosa, un’esperienza importante che mi servirà per capire cosa fare in futuro, se continuare su questa strada o passare ad altro. Vado per gradi, adesso le scarpette sono appese al chiodo e mi devo abituare a fare calcio da dietro le quinte».
Credo di poter parlare a nome di tutti i tifosi rossoblù dicendo che sarai sempre uno di noi. «Non vi ringrazierò mai abbastanza. Potrei dire tantissime cose su Bologna (la sua voce tradisce una sincera emozione, ndr), mi limito a ribadire che per me è un orgoglio essere uno di voi: lo sarò sempre e spero un giorno di rientrare a far parte della famiglia rossoblù, chissà… Siete nel mio cuore, certi amori possono finire ma questo è diverso, è come quello di un genitore per i propri figli. E ho detto tutto».
Simone Minghinelli
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Foto: Damiano Fiorentini