Difensivamente parlando, in quel bellissimo Bologna di fine anni Novanta capace di cogliere un settimo, un ottavo e un nono posto in campionato, due semifinali di Coppa Italia e una di Coppa UEFA (con annessa vittoria dell’Intertoto), svettava imperioso Amedeo Mangone, uno che sui più importanti palcoscenici italiani ed europei ci è arrivato dopo una lunga gavetta nelle serie inferiori. Quantità ma anche qualità, doti che gli valsero poi il trasferimento nella Roma di Franco Sensi e Fabio Capello, con tanto di scudetto nel 2001. Oggi, 54enne, Mangone sta portando avanti il suo percorso da allenatore e da un paio di stagioni, dopo alcune esperienze all’estero, si è rimesso in gioco sulla panchina del Villa Valle, in Serie D. La gavetta, di nuovo, mosso come sempre da una sconfinata passione per il calcio. Domenica, intanto, il Bologna affronta proprio la Roma, e noi abbiamo colto la palla al balzo per intervistarlo in qualità di doppio ex.
Amedeo, è un piacere ritrovarti: allenatore dal 2006, giusto? «Giusto. Ho allenato in Serie C il Pavia, la Reggiana e l’AlbinoLeffe, poi per qualche anno sono stato a vedere il calcio in giro per il mondo e ho anche guidato una compagine di terza divisione brasiliana, il Gama, oltre a lavorare per varie scuole e accademie tra Africa e Cina. Mi sono divertito così, seguendo i ragazzi, poi dalla scorsa stagione ho preso in mano il Villa Valle, squadra della bergamasca che milita in Serie D».
Sulla panchina dei giallorossi una salvezza insperata ai playout e una diretta, con undicesimo posto finale: l’avventura proseguirà? «La stagione si è conclusa da pochissimo, ci siamo salvati all’ultima giornata e come logico non ne abbiamo ancora parlato, ci sarà tempo e modo. Per ora posso solo ringraziare il club per la fiducia che mi ha accordato, è stato messo in piedi un discorso ampio cercando di migliorare anche il settore giovanile e portando in Prima Squadra diversi ragazzi, il progetto è davvero molto interessante e stimolante».
In carriera sei stato allenato, tra gli altri, da Fascetti, Ulivieri, Mazzone, Capello e Cagni: oggi guardi ancora a loro o hai nuovi modelli di riferimento? «Tutti gli allenatori che ho avuto mi hanno lasciato qualcosa e porto sempre con me i loro insegnamenti. Quelli di oggi ovviamente li osservo, guardo come giocano, cerco di carpirne le innovazioni, poi però molto dipende dalla categoria in cui ti trovi a lavorare: non si può pensare di copiare ciò che viene fatto ad alti livelli e portarlo nelle serie inferiori, ogni contesto ha le sue peculiarità».
Continui a seguire le vicende del Bologna? Come valuti il lavoro di Motta? «Certo, seguo i rossoblù e ritengo che fin qui l’operato del mister sia stato straordinario: ha ereditato la squadra in corso d’opera, le ha dato un’identità ben precisa con un gioco piacevole, ha portato idee innovative e ha valorizzato praticamente tutta la rosa, era difficile fare meglio. So che viene spesso accostato ad alcuni top club ma credo che farebbe bene a rimanere almeno un altro anno a Bologna, società e piazza importante in cui può andare avanti a lavorare bene e a crescere senza eccessive pressioni».
Napoli campione d’Italia dopo 33 anni, la tua Roma ci era riuscita dopo 17: cosa significa vincere lo scudetto in un ambiente non abituato ai trionfi? «Significa che l’equilibrio sparisce (ride, ndr). A Roma bastava una sconfitta, anche all’interno di un periodo positivo, per passare dall’esaltazione alla depressione, nell’anno dello scudetto furono bravissimi la famiglia Sensi e mister Capello a ‘ovattarci’ da ciò che avveniva fuori da Trigoria. Napoli in tal senso è molto simile, una piazza caldissima che ti dà tanto ma pretende anche tanto, ecco perché società, allenatore e squadra hanno compiuto una vera e propria impresa. È stato un trionfo meritato, frutto di una gestione oculata e del miglior calcio d’Italia e non solo: il lavoro svolto da Spalletti in tutti questi anni meritava un premio del genere».
A proposito di entusiasmo, riportaci per un attimo dentro gli anni di Baggio e Signori, della cavalcata UEFA e dei grandi risultati in campionato… «Innanzitutto quelle furono tre stagioni fondamentali per la mia carriera: ero abituato a difendere a uomo e Ulivieri mi insegnò a giocare a zona, poi Mazzone con le sue idee completò la mia crescita e quella dell’intera squadra. Il presidente Gazzoni, dopo aver sistemato la società, regalò alla città diversi giocatori di nome, in primis Roby e Beppe, ma la nostra forza primaria arrivava dalla solidità del gruppo, dentro e fuori dal campo. Il resto lo facevano i tifosi, sempre al nostro fianco, calorosi ma educati e rispettosi. Dispiace non aver vinto nulla, penso in particolare alla doppia sfida europea col Marsiglia, però il calcio è così e bisogna accettarlo. Spero che il Bologna di Saputo possa fare ancora meglio di noi nel prossimo futuro».
Sei rimasto in contatto con qualche compagno di allora? «Sì, abbiamo una chat coi ragazzi del primo anno di Serie A (1996/97, ndr), ci scriviamo spesso e ogni tanto organizziamo una cena per ritrovarci. Quelli che vedo più di frequente sono Pavone, che sta a Milano, e Magoni, che vive qui a Bergamo. Questo a testimonianza di quanto dicevo prima, siamo sempre stati un gruppo molto unito».
Una volta Gazzoni ti definì ‘il Thuram bianco’? Un soprannome pesante… «Decisamente pesante, meglio contestualizzare (ride, ndr). Il presidente rilasciò un’intervista a fine stagione e mi citò tra i giocatori che l’avevano sorpreso di più, disse che per il Bologna ero diventato importante come Thuram nel Parma. Quindi non era un paragone in termini di valore assoluto, ci mancherebbe, però quell’accostamento mi fece piacere. Ricordo il dottor Gazzoni come un uomo di una correttezza unica e con uno spessore culturale davvero elevato, tanto che qualcuno si sentiva un po’ in soggezione quando veniva al campo a salutarci. Lui però trovava sempre le parole giuste e ci faceva arrivare tutto il suo sostegno».
Domenica si gioca Bologna-Roma, una sfida che appunto ti tocca particolarmente: che partita ti aspetti? «Negli ultimi anni le due squadre hanno spesso dato vita a match vivaci e combattuti, e credo sarà così anche domenica: la Roma non vuole abbandonare anzitempo l’obiettivo quarto posto, e il Bologna punta all’ottava posizione per chiudere al meglio il suo bel campionato. Ovviamente sui giallorossi peseranno le numerose assenze e la doppia semifinale di Europa League, quindi i ragazzi di Motta dovranno provare ad approfittarne. Ma attenzione a Mourinho, maestro nello scovare protagonisti inattesi e nel tirar fuori il massimo dai suoi giocatori, anche quelli più spremuti. Io dico che ci sarà da divertirsi…».
Simone Minghinelli
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