«Massimo, Massimo, Massimo!», proprio come nel film Il gladiatore, era solita gridare dopo ogni suo gol la Curva Bulgarelli. Quel Massimo è Marazzina, centravanti di razza che sotto le Due Torri ha trascorso ‘solo’ quattro anni, un periodo che però è sembrato più lungo per via dell’amore viscerale con la piazza e i compagni (un po’ meno con gli allenatori che si sono susseguiti). ‘Il conte Max’ arrivò a Bologna nel 2006 e ci restò fino al 2010, impreziosendo le 126 presenze in maglia rossoblù con 48 reti, la vetta più alta della sua carriera in un singolo club (al Chievo furono 46). Trascinatore di una città intera, che il 1° giugno 2008 tornò a respirare la Serie A dopo tre stagioni, alla vigilia del big match Roma-Bologna (di cui è doppio ex) siamo riusciti a parlare un po’ di calcio con lui, espatriato e felice a Miami.
Max, è un piacere ritrovarti: come stai? Anche in Florida continui a coltivare l’amore per il calcio, giusto? «A Miami sto benissimo e sì, qui alleno ma lo faccio a modo mio, ovvero con lezioni private, perché non ho la vocazione da allenatore: mi gestisco come meglio credo il tempo, le giornate e i ragazzi a cui insegnare, al mattino faccio lezione ai più grandi e al pomeriggio mi occupo di quelli più piccoli».
Segui ancora le vicende del Bologna? Visti i pareggi con Frosinone e Monza c’è da preoccuparsi o si riparte dalle prestazioni, che non sono mai mancate? «Quest’anno ci siamo abituati davvero bene e non c’è nulla di cui preoccuparsi: esistono anche gli avversari, motivati da esigenze di classifica nel caso del Frosinone o comunque di valore come il Monza, realtà di buona caratura ben guidata in panchina. I rossoblù stanno facendo molto più di quello che si poteva pensare e sperare, vincerle tutte non è possibile. Manca davvero poco per conquistare quella che sarebbe una storica qualificazione europea: chi avrebbe mai pensato che alla peggio il Bologna sarebbe arrivato tra le prime sei del campionato?».
Domani a Roma si affronteranno due squadre dall’animo giochista: prevarrà questo atteggiamento o ti aspetti una gara più guardinga e attenta? «La gara guardinga secondo me non pagherebbe per nessuna delle due, specialmente per la Roma all’inseguimento in classifica e che dunque cercherà di vincere a tutti i costi. Anche per il Bologna sarebbe un errore snaturarsi, sapendo che tra le fila avversarie ci sono giocatori di valore che potrebbero comunque colpire da un momento all’altro: meglio fare la propria partita e sfruttare le qualità mostrate finora. Inoltre i rossoblù potranno sfruttare le fatiche europee dei giallorossi, che nonostante il passaggio del turno possono lasciare il segno nella testa e nelle gambe».
La super stagione del BFC, unita alla proprietà nordamericana, ha aumentato l’esposizione mediatica dei rossoblù oltreoceano? «Purtroppo la Serie A negli Stati Uniti fatica a ‘sfondare’, e questo forse dice tanto della necessità di esportare meglio il proprio prodotto all’estero. Non è quindi un discorso legato al Bologna, perché al di là di Juventus, Inter e Milan siamo di fronte al buio più totale: qua sono decisamente più seguite la Premier League e la Liga, a parte le tre squadre citate e i giocatori più rappresentativi è difficile che si conosca in modo approfondito il campionato italiano».
Da grande ex del Chievo, che ricordi hai dell’uomo e del dirigente Sartori? Cosa lo rende così speciale? «Lo rende speciale il fatto di lavorare nell’esclusivo bene ed interesse della società: ha come unico scopo quello di prendere calciatori funzionali ad un determinato progetto e tipo di gioco, dopo essersi chiaramente confrontato con l’allenatore, senza scendere a determinati compromessi, tipo andare incontro ai procuratori o accontentare la piazza portando il ‘nome’. Un modello che ha pagato in tre contesti e circostanze diverse: dal Chievo, trascinato dalla C1 ai palcoscenici internazionali, passando per l’Atalanta, collocata tra le grandi della Serie A e stabilmente in Europa, fino al Bologna, ad un passo dal ritorno in campo internazionale».
Come mai, nonostante gli strepitosi risultati ottenuti, non è mai approdato in un club di vertice? «Difficile da dire, visti anche certi ‘personaggi’ approdati nelle big non proprio consoni a quel livello. Magari dinnanzi a certe proposte non si è sentito di cambiare perché si sentiva partecipe di un progetto e stava bene dove si trovava, come nel caso del Chievo, in cui è rimasto per oltre vent’anni. Nelle grandi squadre non hai carta bianca e devi far fronte a tanti ‘interessi’, hai meno margine di manovra e meno autonomia. Questi, a mio avviso, possono essere alcuni dei motivi utili a spiegare il suo mancato sbarco in una delle metropoli».
Cosa ti sentiresti di consigliare a Motta: sfruttare al massimo questa stagione per approdare in una big o guidare la propria ‘creatura’ in Europa? «Stando a quanto leggo e sento, Thiago viene quotidianamente accostato a top club italiani e internazionali, e in tal caso sarebbe molto difficile dire di no anche perché ogni annata fa storia a sé: ha portato il Bologna a livelli incredibili e non sarebbe per nulla facile confermare un eventuale quarto-quinto posto finale, ancor meno migliorarlo. Poi magari ci spiazzerà tutti con un colpo di teatro e resterà, cosa che mi farebbe molto piacere, ma in caso di permanenza la decisione dovrebbe maturare in maniera assolutamente convinta e non ‘forzata’».
Concludiamo col tuo saluto ad una piazza che ti ricorda sempre con affetto, in particolare per quella promozione in A di cui sei stato il principale artefice. «Sono passati quasi sedici anni da quella magica stagione 2007-2008, ma il ricordo è più vivo che mai: ogni volta che torno in città la gente mi ferma per strada e mi ringrazia ancora con tanti complimenti, una cosa nient’affatto dovuta: un conto è quando succede nel momento stesso in cui indossi la maglia, mentre a distanza di parecchio tempo le persone potrebbero anche passare oltre. Ma la tifoseria rossoblù, in tal senso, è davvero speciale. Ogni volta che sono in Italia consulto il calendario, chiamo Caliceti e mi fiondo al Dall’Ara vedere il Bologna».
Riccardo Rimondi
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