Con la maglia del Bologna 162 presenze complessive, 7 gol, una promozione in Serie A e quel rigore decisivo segnato a Roma nella finale del 1974, per regalare al club felsineo la sua seconda e finora ultima Coppa Italia. Eraldo ‘Piedone’ Pecci (anche se lui, romagnolo di San Giovanni in Marignano, come soprannome preferisce ‘Trapano dell’Adriatico’) è a pieno titolo una leggenda rossoblù, e oggi lo abbiamo contattato proprio per parlare della squadra che anche lui ha contribuito a rendere grande. Arguto, ironico e mai banale, ecco cosa ci ha raccontato…
Eraldo, iniziamo con una tua panoramica generale sull’inizio di stagione del Bologna. «La squadra ha cominciato il campionato con grande forza ed entusiasmo, proseguendo l’ottimo lavoro fatto nel finale della scorsa stagione. Poi, per qualche ragione, questo entusiasmo è andato un po’ a perdersi. E il tesoretto di punti accumulato nelle prime partite, che si sperava potesse tornare utile più avanti nel corso dell’anno, è già fondamentale oggi: senza quelli, il Bologna si troverebbe in una situazione di classifica preoccupante».
La sfida contro il Parma è già determinante per capire che tipo di campionato potranno fare i rossoblù? «Non si può valutare un percorso sulla base di una singola partita. Penso che il Bologna sia stato molto bravo a costruire un progetto fondato sull’entusiasmo generato l’anno scorso e su giovani giocatori di talento, ma che per vari motivi tale progetto abbia dovuto fare i conti con un rallentamento. Ci eravamo un po’ tutti illusi che questo potesse essere il campionato della svolta, invece temo che dovremo aspettare ancora».
Ieri Mihajlovic è uscito dall’ospedale dopo il terzo ciclo di cure, oggi ha diretto l’allenamento e domenica potrebbe andare in panchina: quanto è importante che la squadra ritrovi il suo mister? «Conosco Sinisa, gli voglio un gran bene e proprio per questo non mi piace parlare troppo di lui e speculare sulla sua situazione. Posso solo dire che per una squadra è molto importante avere al proprio fianco l’allenatore, quindi mi auguro che la sua presenza riesca a risvegliare la giusta carica nei ragazzi».
Qual è il tuo parere sulla rosa attuale? Pensi che con questi uomini si possa puntare alla parte sinistra della classifica? «Dato l’attuale valore della squadra, credo che parlare di parte sinistra sia presuntuoso. Per arrivarci servono dei punti e una continuità che il Bologna non sta trovando, senza contare i tanti problemi emersi in fase difensiva e il fatto che il giocatore di maggior talento a disposizione, ovvero Palacio, a febbraio compirà 38 anni. Se a questo aggiungiamo che può capitare che elementi importanti come Soriano e Sansone abbiano dei passaggi a vuoto, credo sia troppo presto per parlare di colonna sinistra».
Correggimi se sbaglio, ma mi sembra che nel Bologna di oggi manchi proprio un giocatore ‘alla Pecci’… «Quello che ricoprivo io è un ruolo ormai abbandonato, come del resto lo sono quasi tutti gli altri. Ormai si cerca di formare giocatori universali, che devono correre avanti e indietro per il campo, creare occasioni da gol ma anche salvare sulla linea un tiro diretto verso la propria porta. Le specificità sono meno ricercate, chiaramente se hai un giocatore come Jorginho o Pjanic te lo tieni stretto, ma ormai i ruoli come li intendevamo una volta non esistono più».
Pensi che la ‘telenovela’ che sta andando in onda in queste settimane si concluderà con l’arrivo di Ibrahimovic sotto le Due Torri? «Sicuramente è una bellissima suggestione, si venderebbero un sacco di maglie e la sua presenza porterebbe ancora più persone al Dall’Ara, però io mi chiedo quanto davvero si possa sperare di avere una squadra che schiererebbe contemporaneamente lui e Palacio, due che assieme hanno circa 122 anni d’età (ride, ndr)».
A dicembre la FIGC dovrebbe decidere a chi assegnare lo scudetto 1926-1927, conteso tra Torino e Bologna: tu che hai fatto la storia di entrambi i club, confidi in un ex aequo? «Se devo essere totalmente sincero, non m’interessa per niente. Per come la vedo io, sono discorsi che non stanno né in cielo né in terra, buoni solo per chi non ha altro a cui pensare».
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