«Pazzesco Valiani!», gridò in telecronaca uno sbalordito Pierluigi Pardo il 31 agosto 2008 al 79’ di Milan-Bologna, match che sanciva il ritorno dei rossoblù in Serie A dopo tre stagioni nel purgatorio cadetto. Quel giorno la squadra di Daniele Arrigoni sbancò 2-1 San Siro grazie all’eurogol di un 27enne all’esordio assoluto in Serie A: sembrava una favola, l’inizio di un sogno, ma ben presto si rivelò l’illusorio prologo di un campionato terribilmente sofferto. Alla fine il BFC riuscì a salvarsi, così come nel torneo successivo, quando si tolse lo sfizio di vincere con lo stesso punteggio a Firenze il 17 gennaio 2010: Francesco Valiani non finì sul tabellino dei marcatori ma contribuì con una grande prova a quella vittoria, l’ultima dei felsinei al Franchi sinora. Oggi, a distanza di oltre dodici anni, ‘la Freccia di Pistoia’ non ha ancora smesso di correre dietro ad un pallone ed è il capitano della sua Pistoiese, con cui sta tentando di mantenere la categoria in Serie C. Proprio da qui è iniziata la nostra chiacchierata con lui, per poi addentrarci nei ricordi bolognesi, sperando che siano di buon auspicio per il derby dell’Appennino in programma domenica.
Allora Francesco, 41 anni e non sentirli… «Fino a poco tempo fa avrei detto così, poi mi sono procurato un infortunio muscolare al polpaccio, ma a quasi 42 anni ci può stare: non posso proprio lamentarmi di come il mio fisico ha risposto durante tutta la carriera, sono stato fortunato e anche bravo a curarmelo. Sto portando avanti la riabilitazione e tra circa un mesetto conto di rientrare, voglio esserci per il finale di stagione».
Dalle tue parole trapela la stessa passione di quando giocavi in Serie A. «Ti dirò, più si cresce e più la passione viene fuori, diventa sempre più difficile rinunciarci. Inevitabilmente il momento del ritiro si avvicina e ogni anno pensi che sarà l’ultima stagione, poi magari arrivi verso la fine, senti di averne ancora e ti rendi conto che prevale la voglia di continuare. Ora comunque sono concentrato sul campionato, al termine parlerò con la società e valuteremo insieme».
A proposito di campionato, il vostro obiettivo è la salvezza diretta senza passare dai playout? «Sì, è per forza quello. Nel 2019 sono tornato a Pistoia perché sognavo di concludere la carriera dove tutto era iniziato, lottando per la mia città: all’inizio le speranze erano diverse, si pensava addirittura ad un salto in avanti di categoria, poi purtroppo le cose sono andate diversamente (12° posto nel 2020, retrocessione in D e ripescaggio nel 2021, ndr). Adesso ci stiamo mettendo anima e corpo per mantenere la categoria, traguardo da non fallire anche perché a gennaio c’è stato un cambio al vertice (dalla famiglia Ferrari all’imprenditore tedesco Stefan Lehmann, ndr) e per la nuova proprietà è fondamentale restare tra i professionisti. Un po’ alla volta sentiamo rianimarsi l’amore dei tifosi per la Pistoiese, dobbiamo continuare così e non deluderli di nuovo».
Ripensando invece a Bologna, quali sono i primi ricordi che riaffiorano alla mente? «Ce ne sono molti perché comunque furono anni di risultati positivi, nel senso che in quel periodo ritrovare la Serie A e poi restarci equivaleva a vincere lo scudetto. Io nel giro di sei mesi mi ritrovai dal giocare nel Rimini in B al vestire la maglia del Bologna, conquistare la promozione e poi sbancare San Siro sponda Milan all’esordio, peraltro segnando il gol decisivo in quella maniera: incredibile… Ma la cosa che più mi è rimasta impressa è l’amore dei bolognesi per la squadra, l’ho respirato tutto sia nei momenti belli che soprattutto nei periodi complicati e non lo dimenticherò mai».
Visto che l’hai citata, ti chiedo un flash su quell’impresa al Meazza… «Erano giorni particolari, col presidente Cazzola che stava lasciando le redini del club alla famiglia Menarini e quindi tanti discorsi che andavano oltre il campo. Il settore ospiti era stracolmo di bolognesi e ho ancora negli occhi la loro gioia incontenibile a fine partita: fu davvero una giornata straordinaria, calcisticamente la più bella della mia vita. Peccato che poi quel campionato si rivelò ben diverso, con molte più ombre che luci».
Anche nella stagione seguente, quella del centenario, tanta sofferenza e un super colpo esterno: 2-1 al Franchi. «Per me, toscano cresciuto nella curva della Pistoiese ma con un orecchio sempre rivolto a Firenze, giocare contro i viola non è mai stata una cosa banale. Ricordo il campo pesante, la mascherina che portavo sul volto per una frattura al naso, decisamente meno performante rispetto a quelle di oggi, e una gara bella e combattuta. Era la Fiorentina di Prandelli, che disputava la Champions League e poteva contare su parecchi campioni, eppure riuscimmo a batterla con una prestazione maiuscola e due splendidi gol di Gimenez e Di Vaio. Ricordo che al ritorno negli spogliatoi Viviano, grande tifoso gigliato, ci disse: “Sono contento eh, ma non vi azzardate ad abbracciarmi” (ride, ndr). Fu la mia penultima vittoria col Bologna: la settimana dopo battemmo il Bari al Dall’Ara, poi passai al Parma».
Già, scambio di comproprietà con Pisanu: con tutto il rispetto, non una gran mossa da parte del BFC… «Quello scambio lo impostò interamente la società e andava oltre gli aspetti tecnico-tattici, in poche parole al direttore Baraldi era stato chiesto di far quadrare i conti. Infatti ne parlai con Colomba, spiegandogli che non volevo andarmene perché mi sentivo parte integrante della squadra, e il mister mi disse che non dipendeva da lui. Al di là che poi a Parma trovai una piazza e un gruppo che mi accolsero benissimo, ricordo le lacrime in macchina al telefono con Di Vaio, anche lui molto dispiaciuto: Marco provò a farsi sentire con la dirigenza ma non ci fu nulla da fare. E allora, consapevole che per rendere al meglio è fondamentale avere attorno un ambiente che ti ritiene utile e importante, accettai il trasferimento».
Senti ancora qualche tuo ex compagno rossoblù? «Assolutamente sì: Giubilato, Moras, Terzi, Gigi Lavecchia, Amoroso, ‘Bomba’, e poi Mingazzini e Marchini, due ragazzi straordinari, lo stesso Di Vaio e pure il mitico Osvaldo. E di sicuro ne dimentico qualcuno, a cui chiedo scusa. Non importa quante volte ci sentiamo o ci vediamo, quando succede è sempre un piacere enorme».
E del Mihajlovic di allora, all’esordio in panchina dopo l’apprendistato interista come vice di Mancini, cosa mi racconti? «L’ho già detto in altre interviste e lo ripeto qui, per me Mihajlovic era già un grande allenatore e mi fece un’impressione fantastica: si approcciava benissimo alla squadra, ragionava con la sua testa senza farsi condizionare dall’esterno, dimostrava uno spessore umano piuttosto raro e nei momenti di difficoltà si poneva a difesa del gruppo, proteggendoci e risolvendo eventuali problemi dentro le mura dello spogliatoio. Insomma, tutto ciò che un calciatore vorrebbe sempre trovare nel proprio mister. Parlando invece dei suoi metodi sul campo, in allenamento ci faceva lavorare tanto sul piano fisico e pretendeva quell’intensità che via via è diventata predominante in Serie A».
Venendo al Bologna attuale, il rammarico è sempre lo stesso: un altro campionato sereno ma tutt’altro che entusiasmante, salvo impennate da qui a maggio. «Noi eravamo sempre alla ricerca di tre squadre da metterci dietro, avremmo firmato per vivere dei campionati così (ride, ndr). Mi sembra che il Bologna stia portando avanti una politica ben precisa, ovvero trovare giovani talenti a volte anche sconosciuti, valorizzarli e farli diventare giocatori affermati, richiesti dai top club italiani ed europei. In tal senso credo sia stato fatto un buon lavoro e che soprattutto le ultime stagioni non siano da buttare, anzi, poi è chiaro che più questi ragazzi riesci a trattenerli in rosa e più i risultati possono migliorare. Al termine del girone d’andata sembrava che potesse essere l’anno buono quantomeno per avvicinarsi ai primi sette posti, poi purtroppo ci sono stati vari problemi e le cose si sono complicate. Detto questo, per scalzare da certe posizioni club come ad esempio Lazio e Roma servono investimenti davvero importanti, non è per nulla semplice. Nel frattempo, guardando al presente, mi auguro che i rossoblù riescano a concludere bene la stagione: Sinisa non è uno si accontenta, e di recente lo stesso Saputo ha parlato chiaro a riguardo».
Primo passo: non tornare da Firenze a mani vuote. Che partita ti aspetti? «Anche se quest’anno Mihajlovic ha cambiato assetto e filosofia, la sensazione è che il Bologna continui a trovarsi meglio contro le formazioni che giocano e lasciano giocare, perché comunque ha elementi di qualità che se messi nelle condizioni di colpire possono far male. La Fiorentina di Italiano è proprio quel tipo di squadra: non punta a difendersi, fa il suo calcio e non bada troppo alle caratteristiche degli avversari. Perciò domenica mi aspetto una gara piuttosto diversa da quella col Torino, divertente e piena di capovolgimenti di fronte: non so se a distanza di tanto tempo si ripeterà l’esito del 2010, ma ritengo che il pronostico non sia affatto chiuso».
Simone Minghinelli
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