Renato Villa, 230 presenze complessive e 6 gol con la maglia del Bologna tra il 1986 e il 1992, per il popolo del Dall’Ara è stato e sarà sempre ‘il Mitico’ (nome assegnato anche al suo storico camp estivo): coriaceo, scattante e infaticabile soldato di mille battaglie. Oggi lo abbiamo contattato per tracciare un bilancio della stagione rossoblù che si è da poco conclusa, analizzando pro e contro, reparti e singoli, e per guardare insieme a lui verso il prossimo futuro, tra mercato e ripartenza del campionato, possibilmente a porte aperte.
Renato, nonostante le mille difficoltà il Camp Mitico Villa resiste… «Sì, anche se quest’anno abbiamo fatto solo due tappe rispetto alle quattro previste, a Marconia in Basilicata e a Ostra Vetere nelle Marche, purtroppo non siamo riusciti a mettere in piedi quella di Sestola e quella in Sardegna. Però siamo contenti, è stato bello vedere i ragazzini con tanta voglia di tornare a giocare a calcio, e nel contempo anche la felicità dei loro genitori».
A proposito di ritorno alla normalità, in Italia ci si può ammassare in discoteca ma non entrare allo stadio distanziati: come la pensi a riguardo? «Lo scorso campionato andava finito in qualsiasi maniera, bisognava farlo per il bene delle società e di tutto il movimento, al fine di evitare un guaio economico ancora più grosso. Mi auguro però che da metà settembre il Governo consenta la riapertura degli stadi e dei palazzetti, seppure a capienza ridotta: vorrà dire che inizialmente non andremo al Dall’Ara in 30 mila ma in 10 mila, con tutte le accortezze del caso, ma in qualche modo si deve ripartire. Il calcio e più in generale lo sport senza tifosi è un’altra roba, non piace a nessuno».
Venendo al Bologna e alla stagione che si è appena conclusa, perché si può essere soddisfatti e perché invece no? «Si può essere soddisfatti perché un’annata così nella storia del club non era mai capitata: la malattia di Mihajlovic è stato un problema grave in primis per lui e poi per la squadra, considerando che la presenza quotidiana di un allenatore non solo bravo ma anche carismatico e grintoso come Sinisa è fondamentale. Società, staff e giocatori, nessuno escluso, sono stati bravissimi a sfidare senza paura ogni ostacolo e a creare un legame solido, fotografato perfettamente dalla visita dei ragazzi sotto la stanza d’ospedale del mister. Di contro, credo che tutti ci aspettassimo di più dalla difesa: 65 gol subiti sono davvero troppi. Il Bologna attuale ha un DNA offensivo e va bene, ma certi errori individuali potevano senza dubbio essere evitati con un po’ più di attenzione e concentrazione».
Da ex difensore, su che profilo andresti per rinforzare la retroguardia? «A mio avviso manca un giocatore di peso sul piano caratteriale, uno scafato e capace di guidare il reparto, visto che Danilo non è più un ragazzino e ha il diritto di essere un po’ altalenante. Denswil mi ha deluso, capisco l’adattamento al calcio italiano ma uno con le sue caratteristiche e una carriera fatta anche di presenze nelle coppe europee doveva dare di più. E ho persino dei dubbi sul fatto che possa migliorare, perché ha 27 anni e commette ancora errori banali, di base, non di concetto o di reparto. Tomiyasu, invece, benissimo in fase di spinta ma molto meno in quella difensiva, però si vede che ha talento ed è pur sempre un ’99. Personalmente continuerei a lavorarci come terzino, credo sia quello il ruolo più adatto a lui».
Un altro giocatore che fin qui non ha convinto a pieno è Skorupski: giusto proseguire con lui tra i pali? «Anche il portiere va valutato nell’arco di un anno, e pur tenendo conto dell’inattività causata dal lockdown credo che la stagione di Skorupski non sia stata positiva, ha alternato buone prestazioni ad altre con diversi errori. Però mi chiedo: sul mercato ci sono portieri migliori alla portata del Bologna? Chi ne ha uno giovane e bravo se lo tiene o spara cifre alte, l’alternativa è andare su uno più navigato come Sirigu. Perciò capisco la scelta del tecnico e della società: meglio dare un’altra chance a lui piuttosto che azzardare una scommessa».
E in attacco, invece, meglio lavorare su Barrow come centravanti o lasciarlo largo a sinistra e inserire una punta? «Mantenendo Barrow sull’esterno, in quel ruolo avresti lui, Sansone e il nuovo acquisto Vignato, che mi sembra un buonissimo giocatore, mentre nel mezzo resterebbe il solo Palacio oltre a Santander, che però è in uscita. Partendo defilato Barrow ha fatto vedere grandi cose, da prima punta un po’ meno, ma per caratteristiche penso possa diventare proprio quel centravanti di movimento che Mihajlovic ama e vuole. Detto questo, se l’idea è di inserire un altro attaccante ne serve uno alla Immobile, per intenderci, cioè capace di attaccare in un certo modo la profondità ma anche di finalizzare. Speriamo possa essere questo ucraino, Supryaga, ma prima bisogna cedere Santander, per questioni sia di lista che di monte ingaggi».
L’ultima curiosità è su Orsolini, reduce da un post lockdown piuttosto deludente: credi che il ragazzo abbia un potenziale da campione o ‘semplicemente’ da ottimo giocatore? «Ad oggi direi da ottimo giocatore di fascia medio-alta, sulla falsariga di Verdi, che qui ha fatto benissimo ma poi ha fallito il salto di qualità. Ne abbiamo visti tanti di calciatori così, che in una determinata piazza rappresentano un lusso e poi altrove, per vari motivi o difetti, non riescono a combinare granché. Orsolini però è ancora giovane e i margini di miglioramento ci sono eccome, dipende soprattutto da lui. Il mio consiglio è di restare a Bologna ancora un po’ di anni, per avere continuità e diventare sempre più decisivo, poi si vedrà. Se fosse per me riprenderei anche lo stesso Verdi e li farei giocare insieme, uno a destra e l’altro a sinistra, insieme a Barrow formerebbero un attacco super».
Simone Minghinelli
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