«Comunque così è anche troppo, non ci sono abituato».
Apro così l’articolo di oggi, con un messaggio che mi ha mandato ‘Kuscio’ stamattina: per noi tifosi quasi sessantenni, tutta questo bendidio pare persino eccessivo (metaforicamente, s’intende), perché non ci siamo abituati, perché dopo una calda ne sono spesso arrivate so quante fredde. Insomma, prendiamo pure su anche un quarto di finale di Coppa Italia, ancora in trasferta (magari porta bene: a Firenze sarebbe poi da ‘bimane’) e vediamo cosa succederà.
Dal sottoscritto la partita è stata vissuta come una sgambata di metà settimana, perché vedere così tante seconde linee fin dal primo minuto (addirittura il Bologna con maggior turnover) mi fa gustare la stessa con quel retropensiero tipico di chi sta guardando uno spettacolo con attori diversi dai soliti: curiosità e comunque la voglia di non perdere soprattutto contro ‘quelli lì’ (affrontare le ‘strisciate’ per noi bolognesi ha sempre un sapere di eterna rivincita).
Un giorno qualcuno mi dovrà spiegare perché la Coppa Italia muove così tante svelate ambizioni per i tifosi italiani e bolognesi, mentre gli allenatori di tutte le squadre, tutte, schierano formazioni a volte rabberciate, altre sperimentali, comunque sempre piene di seconde linee: è uno dei misteri del calcio, chissà se un giorno qualcuno me lo svelerà.
Io nel frattempo continuo a guardare i match di Coppa Italia con un certo disincanto, e sembra pure portare bene.
L’Inter gioca di più (non meglio), ha più riferimenti usuali, e di fronte il Bologna fa come può, non avendo le ‘uscite’ consolidate, quelle più sicure di Zirkzee che accorcia e di Ndoye in profondità (senza voler togliere niente a Van Hooijdonk e Urbanski, che semplicemente hanno caratteristiche diverse).
E allora nel secondo tempo, dopo una prima frazione tutto sommato chiusa, la partita si apre e l’Inter probabilmente meriterebbe anche il vantaggio: vantaggio che arriva con Carlos Augusto nell’appendice dei 90 regolamentari.
Ma qui l’Inter commette un errore fatale: non si rende conto che davanti il Bologna ha cambiato faccia, mettendo in campo due calciatori che negli ultimi dieci minuti dei regolamentari si erano scaldati e nel supplementare hanno accelerato.
Il gol del pareggio è una magia (sia per il tacco di Joshua, sia per il sinistro morbido sotto la traversa di Beukema), mentre quello del raddoppio è proprio tipico del Bologna di oggi: Zirkzee in campo aperto quel tunnel lo farebbe anche al miglior Chiellini e Ndoye, per velocità, vale Mbappé; lo ‘scavino’ su Audero, poi, ha del miracoloso.
Così Motta ha confezionato un altro piccolo capolavoro, probabilmente vivendo la partita passo dopo passo: le scelte iniziali facevano pensare non certo ad una sottovalutazione della sfida ma sicuramente – e giustamente – al voler preservare alcuni elementi da eventuali infortuni per sovraccarico. Vedendo poi che la sua squadra dentro la partita ci è rimasta anche con le cosiddette ‘riserve’, a quel punto ha pensato di inserire qualche titolare per cercare di portarla a casa.
Usando le parole di Thiago nel post gara, «riposiamoci perché siamo solo a dicembre»…
Tosco – www.madeinbo.tv
P.S.: in campo dal primo minuto c’erano 3 calciatori del nostro settore giovanile, di cui 2 nati nel 2004: coloro che hanno spesso parlato male di chi ha gestito quel settore negli ultimi anni, dovrebbero magari rammentare che il lavoro di chi sta sotto vale se chi sta sopra lo valorizza. Altrimenti è ingiudicabile, in negativo e in positivo.
Per esempio Federico Ravaglia, che dei suddetti 3 di ieri sera era il più ‘anziano’, se allenato in un certo modo e per qualche mese da uno staff all’altezza, e messo in campo al momento giusto (non allo sbaraglio o per dei cameo, come si fa a volte coi giovani), dimostra che anche il settore giovanile del Bologna ha lavorato bene negli anni in cui veniva svilito dalla solita critica preventiva e prevenuta. Bisogna avere qualcuno che voglia e abbia il piacere di continuare il lavoro, perché in Prima Squadra i ragazzi non ci arrivano mai ‘fatti e finiti’, e solo col lavoro possono crescere fino a diventare calciatori affidabili.
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