Il destino di pochi tifosi è scarsamente invidiabile come quello dei genoani, ai quali negli ultimi anni è stato propinato lo stesso menù: salvezza all’ultimo respiro e campagna mediatica per ottenere ex aequo l’assegnazione dello scudetto del 1924/25, vinto dal Bologna di Hermann Felsner. Cosa se ne facciano di uno scudetto vinto un secolo dopo è un mistero insondabile. Ma siamo pur sempre il Paese che concede alla Juventus di poter affiggerne 38, anziché 36, nel proprio stadio. Il fatto, però, è che la Juventus quei due scudetti annullati li aveva vinti sul campo. Nulla da eccepire, quindi, sul ‘cosa’ e sul ‘quanto’ (casomai sul ‘come’). Il Genoa, invece, non ha vinto un bel nulla.
Andiamo con ordine: il campionato 1924/25 prevedeva due gironi di Lega Nord, dai quali si doveva ricavare un vincitore unico da presentare contro la vincente della più modesta Lega Sud. Al Nord trionfarono appunto Genoa e Bologna, quest’ultimo ancora a secco di titoli nazionali, e occorsero cinque partite per stabilire la squadra regina. Le prime due erano terminate con risultato speculare (Bologna-Genoa 1-2, col famoso gol dell’ex rossoblù Cesare Alberti, e Genoa-Bologna 1-2). Serviva dunque uno spareggio in campo neutro.
A Milano la terza sfida si mise subito male per il Bologna: 2-0 dopo quaranta minuti. Al 61′, però, Muzzioli trovò la rete del 2-1. All’inizio l’arbitro Mauro non la convalidò, poi ritornò sui suoi passi facendo infuriare i genoani. Il problema non era solo stabilire se la palla fosse entrata o meno, ma soprattutto tenere a bada le centinaia di persone che si erano ammassate a bordocampo, così tante da ostacolare persino il rilievo dei perimetri del rettangolo di gioco. Quando il Bologna pervenne al pareggio, il Genoa comunicò di non voler disputare i supplementari. A termini di regolamento, già in quel preciso istante i felsinei avrebbero potuto esigere la vittoria a tavolino. E invece Mauro optò per la scelta più prudente: mandare tutti a casa e rinviare il discorso al quarto match, quello passato alla storia per i colpi di pistola esplosi da un tifoso bolognese verso i rivali genoani alla Stazione Porta Nuova di Torino (fatto deprecabile, certo, ma assolutamente scollegato agli esiti del campo, dato che la gara, finita in parità 1-1, si era già abbondantemente disputata).
La quinta e ultima finale ebbe luogo il 9 agosto 1925 ancora a Milano, in un luogo tenuto segreto (il campo sportivo Forza e Coraggio), alle ore 7:10 del mattino. E vide finalmente la netta vittoria del Bologna. Il Genoa però non ha mai digerito quella sconfitta, che poteva valere il decimo scudetto, quella della stella (nove tricolori, è vero, due dei quali vinti di fatto a tavolino). La Fondazione Genoa ha addirittura patrocinato un libro, La stella negata al grande Genoa, scritto da Giancarlo Rizzoglio, in cui si produrrebbero prove evidenti dei presunti illeciti politico-sportivi del Bologna. La cosa strampalata è che né l’autore del libro né la Fondazione Genoa hanno mai trovato un minuto di tempo per rispondere al libro di Carlo Felice Chiesa Bologna 1925 – Fu vera gloria, in cui vengono smontate punto per punto le rivendicazioni genoane.
Da qualche anno, insomma, si assiste alla pedissequa ripetizione di alcune clamorose ‒ e speriamo involontarie ‒ imprecisioni storiche. Prima tra tutte, quella secondo la quale Leandro Arpinati, il futuro capo del calcio italiano e podestà di Bologna, nel 1925 sarebbe stato il vertice degli organi federali, pienamente coinvolto nello ‘scandalo’ della terza partita. Falso: Arpinati nel 1925 non era ancora il capo del calcio italiano e non era presente in campo durante il parapiglia seguito al gol di Muzzioli. Non solo: Arpinati è lo stesso che nel 1927, stavolta da capo effettivo del calcio italiano, non se la sentì di attribuire il titolo al Bologna, che pure ne aveva pieno diritto, in quanto secondo classificato, dopo il ‘caso Allemandi’ che aveva coinvolto il Torino. In secundis, i genoani si rifanno ad una vecchia intervista degli anni Cinquanta al portiere De Prà…
TO BE CONTINUED…
Luca Baccolini
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