«A volte pensavo di impazzire, allora riguardavo le partite ed ero orgoglioso di voi». Anche dall’ignoto altrove (ammesso che esista) in cui si trova ora, Sinisa Mihajlovic è capace di emozionarci. We Are One, il docufilm prodotto dal Bologna e distribuito da DAZN sull’ultimo anno di panchina e di tribolazioni dell’ex allenatore rossoblù, lascia una frase che buca la cortina insondabile della solitudine vissuta in ospedale dal serbo e di lui ci riconsegna un ritratto aggiornato, paradossalmente ancora più vivo che mai.
Oggi sarebbero stati 54 anni, l’età della seconda giovinezza per quasi tutti gli sportivi, ma in generale per tutti gli uomini e le donne. L’apice delle energie, della maturità, del disincanto e della voglia di afferrare le cose del mondo. Non sappiamo se li avrebbe festeggiati sulla panchina del BFC, ma questo non ha la minima importanza. Se i felsinei oggi viaggiano al settimo posto lo devono alle precondizioni gettate da Mihajlovic quattro anni fa, quando seppe risollevare un gruppo calcisticamente morto, portandolo dal terzultimo al decimo posto e poi assicurando tre anni di salvezze senza patemi, con sprazzi di bel gioco.
Bologna è stata alfa e omega del percorso da tecnico di Sinisa: un’intuizione rischiosa, quella dei Menarini nel 2008/09, come lo fu quella di Saputo nel 2019. In tutta la sua carriera, Mihajlovic ha allenato il 40% del suo tempo in panchina qui a Bologna: servirà qualcosa di adeguato per ricordarlo, qualcosa di visibile e di tangibile. Magari nel nuovo stadio Dall’Ara, lì dove sperava di poter guidare i rossoblù nella partita inaugurale.
Luca Baccolini
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