Andare in Europa oggi? Più facile a dirsi che a farsi…
Si faceva presto a gridare «Europa-Europa» quando la Serie A contava solo diciotto squadre. Era persino difficile tenere il conto delle innumerevoli vie d’accesso alle competizioni internazionali. Prendiamo l’esempio del 2001-2002, l’ultimo campionato in cui il Bologna riuscì a qualificarsi (fallendo l’aggancio alla Coppa dei Campioni per soli tre punti nel famigerato match in casa del Brescia, mentre a Roma si consumava un altro e ben più drammatico ‘5 maggio’ ai danni dell’Inter). Diciotto squadre, quattro retrocessioni, quattro qualificazioni in Champions: sulle dieci compagini rimanenti, sei riuscirono ad entrare in Coppa UEFA o in Intertoto. Di fatto, con quei parametri, un club di A aveva il 33% di possibilità di entrare nel perimetro UEFA. E gli uomini di Guidolin, con 52 punti (lo stesso obiettivo lanciato ieri da Mihajlovic a Pinzolo), ci riuscirono, seppur con l’amaro in bocca e trovando poi il Fulham tra sé e il tabellone principale.
Cambiò la Serie A, estesa a venti squadre; cambiarono le ripartizioni dei diritti televisivi, sempre più coagulate attraverso criteri discutibili (bacino d’utenza, rango e vittorie nel Secondo dopoguerra ecc.) attorno allo status quo delle grandi; cambiò la faccia delle competizioni europee, sempre più Champions-centriche; cambiò pure la geografia del Risiko calcistico, con nuovi potentati che si affacciavano all’agone internazionale, vedi lo Shakhtar Donetsk, lo Zenit San Pietroburgo, le formazioni svizzere e nordiche. Al netto di tutto questo, da un certo momento in poi arrivare in Europa non è stato più un gioco da ragazzi.
Fa sorridere la pretesa che oggi il Bologna ci possa riuscire di nuovo solo grazie ai soldi di Saputo. Di seguito, potete leggere l’elenco delle società che si sono qualificate per l’Europa League dal 2008 in avanti. Perché abbiamo scelto proprio quello spartiacque? Perché fino al campionato 2006-2007 tutti i risultati sportivi (in alto e in basso) erano ancora influenzati dai postumi di Calciopoli, tra penalizzazioni, retrocessioni coatte e ripescaggi. Solo ad acque ferme, insomma, si può tracciare un censimento credibile di chi e quante volte è riuscito a partecipare al secondo torneo continentale, l’obiettivo non ancora espressamente dichiarato dei rossoblù:
Atalanta 2;
Fiorentina 4;
Genoa 1;
Inter 3;
Juventus 1;
Lazio 7;
Milan 4 (una volta estromesso a tavolino);
Roma 4;
Napoli 5;
Palermo 2 (una volta da finalista di Coppa Italia);
Sampdoria 3;
Sassuolo 1;
Torino 2 (una volta ripescato a tavolino);
Udinese 2.
Come si nota, a parte gli exploit di Sassuolo, Palermo e Genoa, non si contano casistiche così diversificate. Andare in Europa, da dodici anni a questa parte, è un affare per pochi intimi: piaccia o no, la situazione consolidata è questa. Che ci debba riuscire a tutti i costi il Bologna (che nello stesso periodo storico è stata due volte squadra neopromossa) è quantomeno singolare, a meno che non si vogliano riesumare i trionfi degli anni Trenta o la cavalcata di Mazzone fino al penultimo atto contro il Marsiglia nel 1999. Ecco perché non devono stupire parole prudenti come quelle di Palacio («Non siamo ancora da Europa»). Piuttosto, bisognerebbe cominciare a considerare la Coppa Italia come una valida scorciatoia alternativa. Chi alza il trofeo, vincendo cioè sei partite (turno preliminare, ottavi, quarti, doppia semifinale e finale), ottiene infatti anche un tagliando d’accesso per l’Europa League. Altrimenti bisogna superare quota 60 punti in campionato. Cos’è più facile?
Luca Baccolini
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