Chissà se alla Caffetteria Lo Spallino di Ferrara manterranno ancora il volto di Joe Tacopina, dipinto direttamente sulla vetrata accanto alla statua della libertà. In quel bar, a due passi da Palazzo dei Diamanti, il culto ormai démodé ricorda ancora i primi mesi di febbre americana a Bologna, quando tra il 2014 e il 2015 l’avvocato newyorchese imperversava tra l’Hotel I Portici e gli innumerevoli incontri di rappresentanza con chiunque contasse sotto le Due Torri, da monsignor Vecchi a Romano Prodi, dal sovrintendente del Comunale all’allora sindaco Merola, perché tutto faceva brodo, anche quando non si parlava di calcio giocato.
Il problema è che a Ferrara, quarta avventura sportiva di Tacopina dopo Roma, Bologna e Venezia, il format ha smesso di funzionare. E dopo anni di successi trionfali, alternati a onorevoli uscite di scena, è arrivato il tonfo: retrocessione in Serie C, dito medio alla curva, insulti alla squadra, minacce degli ultras. Tutto quello, insomma, che Joe ha sempre magistralmente evitato, mettendosi ogni volta dalla parte del tifo, con quel ritualismo forzuto e prevedibile, ma quasi sempre efficace, perché puntava alla pancia di tutti e non faceva male a nessuno. Ora invece lo scenario è cambiato.
Non sono bastati tre allenatori, di cui due campioni del mondo (Daniele De Rossi e Massimo Oddo) per tenere in piedi una baracca che già nella scorsa stagione aveva dimostrato di scricchiolare pericolosamente. Iniezioni di orgoglio, testosterone e denaro (25 milioni, tanto avrebbe investito il gruppo americano in questi anni) andate a vuoto. Anche il calcio di Tacopina ha mostrato i suoi limiti, mentre il suo studio legale continua a difendere Donald Trump, incriminato per 34 capi d’accusa, tra i quali falsificazione di documenti aziendali e il pagamento di 130 mila dollari con cui l’ex presidente degli Stati Uniti avrebbe comprato il silenzio della pornostar Stormy Daniels sulla loro relazione, durante la campagna elettorale del 2016.
Non è la prima volta che Joe viene coinvolto nella consulenza legale di un personaggio da prima pagina. Sulla sua scrivania di Manhattan, proprio a 15 minuti a piedi dalla Trump Tower, campeggia ancora il suo ritratto mentre scandisce un’arringa difensiva al fianco di Michael Jackson; suoi clienti sono stati anche il rapper Jay-Z, l’attore Lillo Brancato e l’ex giocatore di baseball Alex Rodriguez, che grazie a lui si vide condonate in appello più di 50 partite di squalifica. Ma mentre le quotazioni da avvocato hanno raggiunto l’apice della popolarità, quelle da imprenditore calcistico stanno vacillando. E così a Ferrara ci si chiede con preoccupazione quale sia il destino di un club precipitato in C, il cui presidente sta nuotando dentro il più importante processo degli ultimi dieci anni negli USA, ma con un dito medio dietro cui è sempre più difficile nascondersi.
Luca Baccolini
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