Bologna, i segnali delineano un percorso complicato. Il primo imperativo adesso è restare uniti
Primo scorcio di stagione avaro di soddisfazioni quello che stanno vivendo Bologna e il Bologna. E se da una parte era preventivatile pensare a qualche difficoltà, visto il cambio in panchina e i tanti volti nuovi in rosa, la sola vittoria raccolta finora rappresenta un bottino davvero misero. Intendiamoci, il mercato estivo non aveva convinto a pieno una buona fetta della piazza (me compreso, lo ammetto), ma forse nessuno pensava che si dovesse tribolare a tal punto per trovare la via del gol e della vittoria. A tutto ciò va aggiunto un pizzico di sfortuna, sia in certi episodi che per i numerosi infortuni che hanno colpito i rossoblù. Niente alibi, però.
Dopo 7 giornate di campionato il BFC si trova al tredicesimo posto in classifica, a soli 3 punti dalla zona nobile ma alla stessa distanza dalla zona calda, all’interno di una Serie A in generale sempre più povera e modesta. Sia chiaro, qui nessuno palesa scenari drammatici, la sensazione o quantomeno la speranza è che i felsinei sapranno riprendersi e scalare diverse posizioni, ma forse non abbastanza per tornare in territorio europeo. Chissà, difficile dirlo adesso.
Ormai dopo ogni gara si parla di scarsa concretezza, ma gettare la croce addosso solo alle punte ha poco senso. Certo, Dallinga fin qui non ha convinto, ma Castro sta letteralmente trascinando il gruppo. Così come è ingeneroso prendersela con Italiano, un tecnico valido che in carriera ha sempre fatto buone o ottime cose e che ora ci sta mettendo tutto se stesso per invertire la rotta. La squadra ha avuto qualche blackout di concentrazione, gli esterni offensivi non incidono (Ndoye è encomiabile, ma di gol e assist neanche l’ombra), e alcuni protagonisti della meravigliosa cavalcata Champions sono tornati su livelli ‘normali’ (Aebischer, giusto per citarne uno, sembra il lontano parente del centrocampista visto giusto qualche mese fa). Intanto i nuovi acquisti non hanno ancora fatto capire cosa potranno dare alla squadra: con tutto il rispetto, se al posto di Kristiansen (e in parte di Calafiori) gioca titolare – e pure bene – Lykogiannis, qualcosa non torna. E si potrebbe continuare.
In estrema e forse brutale sintesi, il timore è che gli effettivi attualmente a disposizione, a livello qualitativo ma pure fisico, non siano in grado di reggere un tour de force prestigioso e logorante come quello a cui sono e saranno sottoposti almeno fino a gennaio. Peccato, perché centrata l’Europa dopo ventidue anni e la Coppa dei Campioni addirittura dopo sessanta, l’auspicio era di non compiere passi indietro ma quantomeno di assestarsi fra quelle che un tempo venivano definite ‘le sette sorelle’, facendosi parallelamente valere nelle coppe. È ancora prestissimo per le sentenze, c’è tempo e bisogna restare uniti, ma oggi la strada appare in salita.
Mario Sacchi
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Foto: Alessandro Sabattini/Getty Images (via OneFootball)