Questo non è un articolo di un giornalista italiano, è l’articolo di un giornalista bolognese, di un tifoso del Bologna. Quindi non ricorderò Sinisa Mihajlovic, scomparso venerdì a 53 anni, come un grande giocatore e come un grande allenatore, ma come un bolognese che se n’è andato. Presto, troppo presto. Perché Sinisa è divenuto cittadino onorario di Bologna e probabilmente, tra chi lo piangerà, ci sarà anche chi ne aveva frenato la nomina quando si era azzardato a dire che come sindaco avrebbe votato, se ne avesse avuto la possibilità, il candidato di centro-destra.
Ecco pronta la tradizionale etichetta di fascista, e tante grazie. Sinisa era un uomo con le proprie convinzioni politiche, che ha avuto amicizie in qualche caso sbagliate, come ‘la Tigre’ Arkan, ma che nella vita si è comportato bene, a livello professionale e umano, e a me tanto basta. Serbo nel senso più vero del termine, sprizzante carisma da tutti i pori, che nemmeno la malattia aveva sciolto. Il tumore gli ha tolto la vita, non l’orgoglio, gli ha tolto chili e forza, ma non la luce negli occhi, fino all’ultimo istante. A Bologna arrivò poco meno di quindici anni fa, con un calcio propositivo che, però, produsse pochi risultati. Tornò per salvare la squadra che Pippo Inzaghi non seppe far funzionare e le cambiò letteralmente volto.
Arrivarono le vittorie e l’euforia in città, grazie anche a conferenze stampa finalmente vive. Che poi, dopo Donadoni e appunto Inzaghi, fosse facile, questo è vero… Anche qualche sconfitta, come no, ma lui non allenava il Barcellona, e ci poteva stare. Poi la malattia e il Bologna, e Bologna, si sono meravigliosamente stretti a lui. La società gli ha pure allungato il contratto, ha provato a portarlo fino in fondo ma, purtroppo, Sinisa non poteva essere quello di prima e i risultati non arrivavano più. Esonero precoce, a mio parere, con dolore di ambo le parti, ma in molti mi dissero che era oggettivamente dura andare avanti in quelle condizioni.
Non sapremo mai quanto, fisicamente, abbia fatto male a Sinisa l’allontanamento, e credo sia sbagliato non dico specularci, anche solo parlarne. Ora si può soltanto piangere un grandissimo condottiero, un generale del quale qualsiasi soldato si sarebbe fidato. Purtroppo un comandante ferito che non poteva più combattere come prima, che avrebbe voluto morire su un campo di battaglia e non su un letto d’ospedale. Lo ricorderò come uno dei dieci migliori allenatori che ho visto sulla panchina del Bologna. E non perché è morto. La terra ti sia lieve Sinisa, e grazie di tutto.
Jack Bonora
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Foto: Getty Images (via OneFootball)