Ricorrerà tra pochi giorni il decennale di un evento che tutti avrebbero voluto evitare: gli stipendi non pagati da Sergio Porcedda, l’aperitivo di quel dramma sportivo che per un mese tenne col fiato sospeso tutta Bologna. La giornata esatta, per chi avrà voglia di fare un tuffo nella storia, cadrà il 18 novembre, data in cui la Lega Calcio respinse le garanzie che Porcedda aveva spedito per far fronte al pagamento delle tre mensilità arretrate: il club era sull’orlo dell’incubo e ancora non lo sapeva. Dopo trentasei ore vissute nell’incertezza, la ferale notizia trapelò quasi come un fulmine a ciel sereno (gli indizi in realtà erano già squadernati agli occhi più attenti) ed ebbe il peso di una mazzata dalla quale, difficilmente, ci si sarebbe potuti riprendere senza alcuni uomini chiave: Giovanni Consorte, l’architetto della cordata di imprenditori che salvò il BFC, Massimo Zanetti, colui che versò la cifra iniziale più consistente, l’allenatore Alberto Malesani, il capitano Marco Di Vaio e tutti i giocatori che tennero compatto lo spogliatoio.
Il mancato pagamento degli stipendi arretrati (luglio, agosto e settembre, per un totale di 6,5 milioni) comportò, secondo le nuove norme federali, tre punti di penalizzazione in classifica. Il 18 novembre gli inadempienti avevano ancora una strada per scongiurare quella batosta: avvertire con almeno un giorno d’anticipo la Lega del ritardo e porvi rimedio entro le ventiquattro ore successive con un’inequivocabile documentazione. Ma Porcedda, che non pagò e non avrebbe mai pagato nelle settimane successive, non seguì questo iter. Il suo ‘bonus’, del resto, se lo era giocato a fine agosto, quando s’era visto respingere dalla stessa Lega le garanzie che aveva fornito per i transfer di tre calciatori (Cherubin, Esposito e Garics). Da allora, gli organi preposti al controllo dei conti erano stati particolarmente attenti a vigilare sulla società rossoblù. Tutti ricordiamo i goffi tentativi di galvanizzare l’ambiente: «Ho detto che pago» diventò, in quei giorni, un tristissimo refrain.
Pensare che in appena una decade il Bologna è passato dalle mani instabili di Sergio Porcedda (nel frattempo condannato a quattro anni di reclusione per bancarotta fraudolenta nell’ambito dell’inchiesta sul fallimento della clinica Città di Quartu) a quelle granitiche di Joey Saputo, peraltro transitando da quelle di Albano Guaraldi, è qualcosa che supera i limiti della fantasia del più fervido narratore. Ricordiamoci da dove veniamo, prima di mettere in dubbio il lavoro fatto da questa società dal 2015 ad oggi.
Luca Baccolini
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