Da San Siro a San Siro, Sinisa credeva alla salvezza come ora crede all’Europa: perché non seguirlo?
Osserviamo con piacere l’esultanza – non distanziata – di Filippo Inzaghi coi suoi giocatori negli spogliatoi del Vigorito. La Serie A conquistata dal Benevento con svariate giornate d’anticipo è un’impresa non scontata, anzi, diciamo pure straordinaria. Si stenta quasi a credere che l’abbia compiuta lo stesso allenatore che sotto le Due Torri riuscì a racimolare solo 14 punti in 21 partite. In fin dei conti, pensando alla storia come ad un meccanismo di cause ed effetti saldamente intrecciati, è proprio al fallimento di Inzaghi che dobbiamo il ritorno di Mihajlovic. Chissà cosa sarebbe stato del Bologna se Mattiello (fresco avversario con la maglia del Cagliari) non avesse avuto la balzana idea di appoggiare i tacchetti sulla tibia di Cassata al 14′ del match contro il Frosinone, spianando la strada a quella sconfitta epocale.
La storia recente dei rossoblù è cambiata il 27 gennaio 2019, e non solo perché la società si è vista costretta a esonerare – tardivamente – Super Pippo. Quel giorno Joey Saputo ha capito infatti che occorreva uno sforzo in più, se non voleva fare del suo investimento una valle di lacrime. Nell’aspro eppur civile confronto con i tifosi che lo circondarono in via dello Sport scattò qualcosa, forse una nuova consapevolezza. Non c’è una linea di continuità tra il pre-Frosinone e il post-Frosinone, c’è una cesura netta tra l’era dell’incertezza e quella delle possibilità rivelate. Ed è stato soprattutto Sinisa Mihajlovic a segnare questo cambio di passo.
Siccome non esistono vittorie casuali, nemmeno quella di San Siro con gol decisivo di Santander fu una circostanza fortuita. Il marchio di Mihajlovic si vide subito: chi era allo stadio ebbe immediatamente l’impressione che nel motore rossoblù fosse entrato il carburante giusto. Quel pomeriggio (ormai un anno e mezzo fa, il tempo vola) il Bologna si presentò in casa dell’Inter quasi come una vittima sacrificale e ne uscì con gli sguardi increduli dei giocatori, incapaci di ritenersi responsabili di quel miracolo. E se allora anche il tifoso più ottimista non avrebbe potuto scommettere sul decimo posto finale, perché oggi non si dovrebbe sperare di agguantare il settimo, distante solo cinque punti?
Luca Baccolini
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