Dal miracolo Chievo all’Atalanta europea, Sartori conosce solo la parola successo. Bologna il suo terzo club in trent’anni di carriera
Trent’anni di carriera da direttore sportivo, due sole squadre. Giovanni Sartori, prima di firmare col Bologna, il suo terzo club, aveva lavorato con Chievo e Atalanta. In un calcio mangia-uomini, Sartori è sempre andato nella direzione contraria, fiero di una monogamia sportiva che forse non ha eguali, almeno in Italia.
Pochi lo conoscono veramente. Infatti non è quasi possibile trovare una sua intervista lunga più di un paio di cartelle. Si sa che è stato un discreto calciatore: è cresciuto nel Milan all’inizio degli anni Settanta, ma coi colori rossoneri è sceso in campo solo 7 volte. Una sua figurina d’annata lo ritrae anche con la maglia della Sampdoria, stagioni 1979-1980-1981, l’ultima delle quali in spogliatoio con Gigi Delneri. Sartori si ricorderà di lui. Sul campo finì la sua carriera al Chievo, in Serie D, rimanendoci cinque stagioni fino alla storica promozione in C1 del 1989. Sembrava il massimo possibile, per quel quartiere sconosciuto di Verona. E invece sarà proprio Sartori ad alzare ulteriormente la soglia dell’impensabile, verso traguardi impossibili anche per la più fervida fantasia.
Una breve esperienza da allenatore in seconda, sempre lì, appena due anni per capire che la panchina non faceva per lui. Poi nel 1992 Luca Campedelli, rimasto senza padre, gli consegnò le chiavi del dicastero sportivo. Da lì in avanti Sartori conoscerà solo la parola successo, con un’unica macchia: la retrocessione in B del 2006/07, subito emendata dall’immediata risalita in Serie A, nello stesso anno in cui toccò al Bologna di Arrigoni. Coi mussi volanti ha raggiunto i preliminari di Champions League, un risultato storico non solo a livello italiano, ma si potrebbe dire mondiale. Verona per Sartori è stata tutto. Anche casa. Quando ci arrivò da calciatore, scelse di stare a Sirmione, sul lago di Garda, città diletta di Catullo. È lì che vive ancora con la moglie e i due figli maschi. Al Chievo ha sperimentato un metodo imbattibile: trovare talenti affamati e giocatori apparentemente a fine corsa, per rilanciarli. È così che i tifosi gialloblù hanno potuto veder giocare un campione del mondo (Bierhoff) e altre promesse fresche di fabbricazione, come Amauri, Perrotta e Rigoni.
Una ricetta esportata all’Atalanta, dove Sartori è rimasto dal 2014 fino a quest’estate. Le sue intuizioni potrebbero riempire un foglio intero: Sportiello, Caldara, Mancini, Kessie, Gagliardini, Spinazzola, Petagna, Kulusevski, Gosens, De Roon, Freuler, Castagne. Kulusevski, preso a 200 mila euro, è stato ceduto alla Juventus per 40 milioni. Da 700 mila euro, Gosens ora vale 30 milioni. Barrow (il Bologna ne sa qualcosa) ha invece fruttato alla Dea 19 milioni. I suoi uomini sono fidatissimi, sanno muoversi nell’ombra senza dare nell’occhio: Gabriele Zamagna, specializzato nell’area europea, soprattutto il Belgio (Castagne e Malinovskyi, per esempio, sono arrivati dal Genk); Fausto Vinti, fratello del preparatore dei portieri Graziano, ex rossoblù; Davide Cangini, coordinatore dell’area scouting; Roberto Marta, che era votato a far fruttare il vivaio nerazzurro.
Sartori, però, è stato abile anche nel non dipendere esclusivamente dagli imprevedibili capricci del settore giovanile, riuscendo a pescare talenti brillanti e già pronti da altri campionati. E infatti, nel periodo più recente, figuravano solo tre elementi cresciuti a Bergamo: Sportiello, Rossi e Barrow. Che non a caso è stato ceduto senza rimpianti, e al massimo della quotazione possibile.
Luca Baccolini
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