Quando nel gennaio 2017 arrivò a Bologna, Bruno Petkovic era un anonimo attaccante croato che non aveva mai giocato in Croazia, almeno non in club professionistici. Come cambi in fretta il destino di un calciatore ce lo raccontano le ultime 24 ore, che Petkovic ha vissuto da salvatore della patria: il suo sinistro di prima intenzione a freddare il Brasile ha garantito alla Nazionale biancorossa la chance insperata dei rigori, divenuta poi trionfo. Messi contro Petkovic, la prossima semifinale, sembra uno scherzo, ma è solo uno dei tanti incredibili esiti di questo strano Mondiale. Che Petkovic ne diventasse uno degli uomini simbolo era quantomeno impossibile da pronosticare, almeno a giudicare dalla sua impalpabile traccia lasciata nel campionato italiano. Ma andiamo con ordine.
Originario di Metkovic, al confine con la Bosnia, sulle rive del fiume che bagna anche Mostar e il celebre Vecchio Ponte, Bruno arriva ventiduenne al suo primo appuntamento coi grandi. Era già transitato dalla Serie A, ma solo facendo qualche comparsa a Catania, prima d’infilare un tunnel di prestiti tra Varese, Reggiana, Virtus Entella e finalmente Trapani, dove s’è costruito un nome e un principio di celebrità. È a quella bottega che il Bologna di Bigon e Donadoni andò a bussare con 1 milione e 200 mila euro. Dopo Matteo Mancosu, stessa provenienza, prezzo simile, un altro simbolo del Trapani venuto a cercar fortuna in questi lidi.
Tutto si può dire di Petkovic, tranne che sia un soggetto banale. Prima delle caratteristiche fisiche (1 metro e 92 per una novantina di chili) colpiscono alcune sue bizzarre abitudini. Per la gioia di assessori al traffico e comitati anti-smog, a Trapani Petkovic andava ad allenarsi in autobus. Forse anche per questo non era raro vederlo arrivare in ritardo. A Bologna pare che non avesse perso il vizio, ma il vero problema era un altro: lo zero alla voce gol. Qui era stato chiamato per fare il vice Destro, un compito che in effetti poteva star stretto ad un ragazzo con stazza, tecnica e buone ambizioni (10 reti in B da febbraio a dicembre 2016), ma a Trapani assicurano che la vita di spogliatoio gli era congeniale: Bruno ha sempre accettato i compiti che gli venivano assegnati, finendo per litigare con Serse Cosmi ‘solo’ per motivi legati alle regole di convivenza (qualche sveglia mattutina non sentita, si sussurra). Ma sull’impegno e l’altruismo, niente da discutere: «Se devo scegliere tra un assist e un gol – ripeteva l’interessato – preferisco sempre la prima cosa».
Dal 2018 gioca in patria (e in Champions) con la Dinamo Zagabria, ma a Trapani è ancora ricordato come un idolo. Anche per la scenetta commovente dopo i playoff persi nel giugno 2016 contro il Pescara, sfida che poteva valere una storica Serie A. Dopo il pareggio 1-1 che aveva appena promosso nel massimo campionato gli abruzzesi, Petkovic fu l’unico calciatore che non voleva lasciare lo stadio: «Dormo qui, lasciatemi stare», disse Bruno con ancora addosso la maglia granata. Del resto, durante quegli spareggi la messa al Sacro Cuore di Trapani un giorno s’interruppe per un suo gol: «Evidentemente il Trapani ha segnato», indovinò il parroco sentendo un boato. Gol, cuore e favore divino. Quel che serve, almeno sulla carta, per far vincere i Mondiali alla Croazia.
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