Quando muore un uomo, muore un mondo. Mai tanto vero quanto la scomparsa di Romano Fogli, l’ultimo degli undici del ’64 ad aver raggiunto la sua compagnia in Paradiso, là dove profeticamente l’aveva issata nel 1962 Fulvio Bernardini («Così giocano gli angeli in Paradiso», disse il tecnico alla lettera, per descrivere la vittoria 7-1 sul Modena). L’addio di Fogli, che avverrà oggi pomeriggio nella sua Santa Maria a Monte, chiude un cerchio che una fitta serie di commemorazioni, interviste, cene e memorial aveva tentato (vanamente, come tutte le cose umane) di tenere aperto.
Anche la morte di Gianfranco Civolani, mai abbastanza ricordato, andrebbe allineata all’elenco delle perdite dei campioni d’Italia 1964, un patrimonio di testimonianze ora relegato alle mute, ma necessarie, parole dei libri e di qualche immagine in bianco e nero. Il problema della distanza ora si fa grande: da quello scudetto sono passati quasi sessant’anni. Tempo quindici-vent’anni e anche i testimoni oculari di quell’impresa perderanno la voce, i ricordi, la possibilità di dire: «Io c’ero». E di colpo il Bologna rimarrà senza scudetto, cioè senza il ricordo di quell’impresa, che fu un acuto isolato, capace però di imporsi come una delle più grandi vittorie calcistiche del Secondo dopoguerra italiano. Da lì in avanti la Serie A avrebbe circoscritto le sue élites ad una manciata di squadre, perlopiù antipatiche.
Fogli apparteneva ancora ad una generazione di calciatori-operai, nel senso letterale del termine: aveva lavorato in fabbrica, sapeva cosa significasse timbrare il cartellino, conosceva la vita. Coi primi soldi guadagnati aveva comprato il terreno per la casa di famiglia. E per questo il gol che aprì le danze nello spareggio dell’Olimpico contro l’Inter (il famoso «tiro fiacco») fu davvero il gol di tutti. Il calcio di oggi non potrebbe nemmeno sognarsi di produrre figure del genere: adesso si nasce calciatori all’interno di una filiera staccata e indipendente dalla società civile. Chi fa il calciatore oggi non dialoga col mondo, non lo conosce affatto, dunque non può rappresentarlo. E raramente ci sono eccezioni a tale regola. Grazie Romano, per essere stato il nostro rappresentante in campo.
Luca Baccolini
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