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Eriberto, l’uomo che visse due volte. Vent’anni fa il caso del brasiliano che si inventò una doppia identità

Eriberto, l'uomo che visse due volte. Vent'anni fa il caso del brasiliano che si inventò una doppia identità

Ph. bolognafc.it

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«In fondo, che cos’è un nome?», si chiede Giulietta sul balcone pensando alla rosa «che profumerebbe altrettanto dolcemente se non si chiamasse rosa». Anche senza conoscere Shakespeare a memoria, Eriberto da Conceiçao Silva deve aver pensato alla stessa maniera del Bardo, quando approdò in Italia nel 1998 grazie all’intuizione di Oreste Cinquini, direttore sportivo di un Bologna che aveva appena congedato Roberto Baggio e messo in archivio un’irripetibile annata da 27.000 abbonati.
Brasiliano di Rio de Janeiro, cresciuto nel Palmeiras, Eriberto era costato 5 miliardi di lire, una piccola fortuna se rapportata al curriculum di un carneade appena diciannovenne. Al momento delle presentazioni solo due persone al mondo (il diretto interessato e il suo procuratore) sapevano che quella ‘rosa’ di nome Eriberto in realtà non si chiamava così. Eriberto, infatti, era il nom de plume del vero Luciano Siqueira de Oliveira, nato nel 1975 e non nel 1979 come aveva fatto credere a tutti, doganieri compresi. Negli scomodi panni di Eriberto il calciatore brasiliano rimase intrappolato fino all’estate 2002, quando una crisi di identità, e forse un insopprimibile senso di colpa, lo spinse a confessare l’inconfessabile, riappropriandosi della sua vera identità. Ma perché mentire?
Eriberto, ovvero Luciano, non aveva più né padre né madre, sapeva giocare bene a calcio, aveva un agente disinvolto e sognava di giocare in Europa. Alcuni provini, però, erano sfumati a causa dell’età, considerata non più appetibile per il mercato europeo. Battezzarsi di nuovo, svecchiandosi un po’, era sembrata la strada più breve per darsi un’altra chance. In questa catena di inganni, il finto Eriberto e il vero Luciano rimasero ospiti dello stesso calciatore fino al 2002. Nell’estate di quell’anno, conclusa la seconda stagione nel Chievo di Luigi Delneri (quella del miracoloso quinto posto), Eriberto fuggì in Brasile nel bel mezzo di una trattativa con la Lazio di Cragnotti, disposto a concedere un quinquennale a quella saetta di centrocampo cui era stato perdonato un viale imboccato contromano ai tempi del Bologna (nessun morto, per fortuna).
Il caso del passaporto deflagrò il 22 agosto 2002, a pochi giorni dell’inizio del campionato. In un’intervista-confessione, Luciano calò la maschera e rivelò di esser nato il 3 dicembre 1975 a Boa Esperança. «Un procuratore mi disse che avrei potuto far fortuna solo con un’età inferiore. Così mi portò l’atto di nascita di un altro ragazzo della località, di circa quattro anni più giovane. Più passava il tempo, però, e più mi facevo delle domande. Sarei potuto andare alla Lazio e guadagnare tanti soldi, ma non riuscivo più a reggere il peso della bugia. E poi voglio che mio figlio possa portare il mio nome», raccontò il calciatore.
Togliersi il macigno non fu indolore. E nemmeno economico. Scampato alla legge brasiliana, dovette sistemare le pendenze con un contadino dello stato di Rio cui erano state duplicate le generalità. Poi piombò la giustizia italiana, che sugli affari del calcio bussa sempre con implacabile puntualità. Luciano fu squalificato per sei mesi, pena ridotta di un anno per l’ammissione spontanea del giocatore. La Lazio rinunciò all’acquisto mentre l’album Panini, che fino al campionato 2001/02 aveva stampato la figurina di Eriberto, non mandò in rotativa nemmeno la versione aggiornata.
Per rivedere in campo il reo confesso bisognò aspettare il 26 gennaio 2003. Sulla maglia del Chievo, la squadra con cui il brasiliano aveva continuato ad allenarsi, comparve finalmente il nuovo nome, Luciano, che rimase impresso per altre nove stagioni, fino a 37 anni compiuti. E stavolta reali.

Luca Baccolini

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