Gazzoni come Dall’Ara, eletto da Bologna nell’Olimpo degli eroi
Ha salvato il Bologna dall’irrilevanza e lo ha portato ad un passo e mezzo dalla vittoria della Coppa UEFA. Ha portato in rossoblù tre vicecampioni del mondo come Roberto Baggio, Giuseppe Signori e Gianluca Pagliuca. Senza contare tutti gli altri. Eppure persino ad un presidente che somigliava più a un filantropo, una frangia non irrilevante di tifo organizzato aveva riservato agguati, contestazioni, volgari imprecazioni, scritte sui muri («Gazzoni pluma», si leggeva su un tornante della fondovalle che conduce a Sestola).
Tutto ricomposto, con l’amnistia che il tempo assicura anche ai gesti più meschini. Uno striscione di scuse apparso in curva quando Gazzoni tornò per la prima volta al Dall’Ara al fianco di Joe Tacopina, nel 2014, mise una pietra sopra quegli insulti, più ingiusti che realmente sentiti. Gazzoni accettò le scuse, ma chi lo conosceva sapeva bene che la ferita era rimasta aperta. E sanguinava. Dietro il movimento impercettibile delle sue labbra, che muoveva appena celando discretamente ogni emozione, dietro l’apparente distacco delle parole, c’era un’antica nobiltà che si sentiva – giustamente – tradita. Gazzoni, del resto, apparteneva all’ultima generazione calcistica dei presidenti-padroni, ma non vi si rispecchiava in pieno.
Aveva rilevato il Bologna per senso civico, e c’era da credergli, perché in quell’avventura era riuscito a coinvolgere sotto un unico cartello mondi finanziari assai lontani, ovvero l’imprenditoria locale e le cooperative. Restò in piedi la prima, dimostrando di cavarsela piuttosto bene, senza bisogno di tante cordate. Il suo civismo, come a voler completare l’opera iniziata col calcio, si spinse anche in politica, azzardando una candidatura a sindaco contro Walter Vitali e Filippo Berselli. Ma quel centrismo educato, stretto tra le sinistre e le destre post-ideologiche, era troppo di buone maniere per piantare radici nell’elettorato. Gazzoni ha sempre sostenuto di essersi rovinato col calcio. E bisognava credergli anche in quel caso.
Eppure è proprio grazie al calcio se oggi l’imprenditore severo amico degli Agnelli, nato in un mondo vestito alla marinara, si è fatto conoscere nel suo lato più sincero, riuscendo a varcare un Olimpo che a Bologna ammette solo Dall’Ara e pochissimi altri eroi. Ha dato più di quello che ha avuto, con un rispetto delle parti che farebbe vergognare chiunque, in quest’epoca narcisista, tagliata sull’incompetenza dei ruoli. Per questo non voleva mai intervenire negli affari del Bologna, pur essendone il presidente onorario a vita. Quando balenò l’ipotesi di acquistare Ibrahimovic, non volle dire niente a Joey Saputo. «Non fatemi rispondere», pregò quattro mesi fa in una delle sue ultime interviste. Poi, prima di riagganciare, con la voce illuminata dai ricordi di Baggio, mormorò: «Eccome se lo prenderei… ma non lo scriva».
Luca Baccolini
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