Non sembra neanche appartenere alla stessa stagione cominciata da Sinisa Mihajlovic, questo finale condotto quasi al trionfo da Thiago Motta. Eppure, con un Mondiale in mezzo a dilatarne la percezione, il campionato 2022/23 ha segnato il primo vero spartiacque della gestione Saputo. Non solo per un fatto numerico (54 punti sono il record rossoblù degli anni Duemila, sebbene in proporzione pesassero di più i 52 di Guidolin conquistati in 34 gare), ma anche per un approccio completamente diverso alle vicende sportive. L’esonero di Mihajlovic a settembre, tre mesi prima della sua tragica e prematura scomparsa, è stato forse il primo intervento tecnicamente tempestivo del presidente, per indole sempre molto tenero con quasi tutti gli allenatori (le 10 giornate con 8 sconfitte concesse a Delio Rossi, i 14 punti in 21 giornate lasciati a Pippo Inzaghi, per non parlare del triennio Donadoni). Con dolore, ma con fermezza, si è scelto di invertire la rotta nel momento in cui tutto era ancora recuperabile.
È stata quella decisione – impopolare, complessa e faticosa – a permettere al Bologna di azzerarsi e ripartire. Eppure a questi 54 punti ha contribuito anche lui, Sinisa, con tre pareggi che oggi sembrano poca cosa, ma che allungano a cinque le stagioni consecutive in cui ha messo la sua firma e il suo contributo umano (sei con quella del debutto nel 2008/09). E se è vero che Posch, Ferguson, Moro e gli altri non sono state ‘creature’ di Mihajlovic, non si può dimenticare che il nucleo di senatori che ora si appresta a salutare Casteldebole (De Silvestri, Medel, Sansone e Soriano) era stato tutto forgiato da lui. La colonna vertebrale della squadra, che ha tenuto in piedi il gruppo anche giocando poco, portava ancora il marchio del serbo. Al quale va rivolto un ultimo pensiero, prima che cominci il Bologna dell’avvenire, interamente plasmato dalle mani di Motta.
Luca Baccolini
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